Kalidou Koulibaly, adrenalinico per il suo gol vittoria alla Juventus, proprio come nel 2018, ha esultato prendendo la macchina fotografica a un fotografo per alcuni scatti agli spalti pieni di tifosi del Napoli in festa.
Koulibaly abbatte la quarta parete
In Boccaccio 70, Peppino De Filippo cerca di coprire la telecamera per impedire al pubblico di vedere Anita Ekberg che si denuda.
Nel cinema, come nel teatro, si parla in questo caso di Quarta Parete. Ne abbiamo diversi esempi, da La rosa purpurea del Cairo, di Woody Allen, a Stan Laurel e Oliver Hardy che si rivolgono alla telecamera per parlare al pubblico.
In Brecht, Pirandello, Ionesco (ma potremmo risalire a Plauto) troviamo le radici di questa rottura, anche rischiosa, della barriera tra attori e spettatori, fantasia e realtà. Se si vuole: rappresentazione e rappresentati.
È quello che accade quando Koulibaly strappa la macchina fotografica al fotografo e la punta sul pubblico (andando oltre altre interazioni, come ad esempio sollecitare i tifosi a sostenere la squadra).
In quel momento il raffinato ma ruffiano populismo di Spalletti (il pubblico non è fatto da tifosi ma da calciatori che scendono in campo con noi, io e la squadra non facciamo altro che portare la città in campo) perde la sua paraculaggine e diventa credibile se non vero. Quella gente sugli spalti era mancata, come ai concerti, nelle sale cinematografiche, nei teatri.
E perfino lo spettacolo calcistico visto da casa ne perdeva, con quegli strani silenzi rotti dalle urla di qualche allenatore a volte ripetute ossessivamente ed isteriche, con la proiezione del finto pubblico.
Ma lo stadio era mancato soprattutto ai giocatori. Koulibaly fotografa il suo popolo, come una popstar, non sappiamo se sia consapevole di ciò che fa, se abbia memoria per esempio del precedente di Francesco Totti, ma è un gesto bellissimo per Napoli, che resterà.

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