In occasione del restauro della pellicola (in realtà una riedizione in DVD Blu-Ray) il Cinema Troisi ha proiettato l’indimenticato “Arrapaho” (1984), un bislacco prodotto cinematografico che vide il debutto degli Squallor sul grande schermo per la regia di Ciro Ippolito.
Al Cinema Trosi torna sullo schermo “Arrapaho” di Ciro Ippolito con gli Squallor
Il Cinema Troisi, che fa capo alla Associazione Piccolo America, ha una programmazione di qualità, da cinefili, ma stavolta ha voluto dare spazio (il 9 Maggio)) a quello che fu un grande successo popolare: “Arrapaho”, ispirato al famoso LP degli Squallor e con i membri del gruppo come attori.
L’occasione è data dalla ripubblicazione per l’home video, il DVD è arricchito da un’intervista di Marco Giusti a Ciro Ippolito che serve a raccontare l’incredibile storia del film.

Siamo nel 1984, Ciro Ippolito (già regista di “Alien 2” e di alcune commedie napoletane con Mario Merola e Carmelo Zappulla), ha in mente i Monty Python ma vede passare una macchina con lo stereo ad alto volume che trasmette “Arrapaho”, ha una folgorazione e scrive al volo una sorta di Romeo e Giulietta in salsa pellerossa (e con scostumatezze in quantità, basti dire che le tribù rivali sono gli Arrapaho, i Cefalones e i Froceyenne). Nessuno gli vuole produrre il film, se lo finanzia da solo con 135 milioni di lire. Qui la trama.

Niente comici affermati, Ippolito punta su volti nuovi (ma si dovrebbe dire “non attori”) quali Urs Althaus, lo “svizzero negro” (è il titolo della sua autobiografia), che interpreterà il calciatore Aristoteles ne “L’allenatore nel pallone”, e la greca Tini Cansino, entrambi con una pronuncia italiana esecrabile: al primo Ippolito fa credere che il film sia una riproposizione seriosa del dramma di Shakespeare per rendere ancora più ridicola la sua interpretazione; la seconda, che all’epoca della lavorazione ha 25 anni ed è bella come una dea, viene mostrata in un memorabile nudo integrale.

Arrapaho (Urs Althaus) e Scella Pezzata (Tini Cansino)
E gli Squallor? Alfredo Cerruti è voce narrante, Daniele Pace è il grande capo Palla Pesante, Totò Savio è un indiano Cefalones e il parente che arriva tardi al matrimonio, Giancarlo Bigazzi compare in un cameo come un russo su una slitta (ma parla toscano).

Come se non bastasse, visto che siamo nel periodo in cui i grandi registi tuonavano contro le interruzioni pubblicitarie, Ippolito inserisce finti spot nel film, che esce quindi “già interrotto”.
Ora, Ippolito dichiara di avere volutamente fatto un film la cui comicità discende dalla bruttezza, dalla volgarità spesso gratuita, dalla tecnica approssimativa. A mio sommesso avviso, invece, egli puntava sul fatto che portare sullo schermo gli Squallor sarebbe stato sufficiente; ma, poiché sul set il divertimento dei loro dischi era solo pallidamente evocato, decise di buttarla sul dadaismo.
Comunque sia andata realmente, un plauso alla sua intuizione, che sottrae “Arrapaho” alla definizione labranchiana di trash come “emulazione fallita di un modello alto” per farlo diventare esso stesso un modello. Da non seguire, per carità: lo stesso Ippolito non fece un sequel, bensì -coi finanziamenti divenuti abbondanti a causa del successo al botteghino- “Uccelli d’Italia”, di qualità decisamente superiore anche se meno radicato nel cuore degli appassionati.

Le riprese durano solo 15 giorni, per “Il Morandini. Dizionario dei film” è “il film più brutto di sempre” ma incasserà 5 miliardi! Un’avvertenza: è solo per veri cultori degli Squallor, gli altri non capirebbero.
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