Con la follia di un passaggio dallo stato di eccezione come quello pandemico, a quello di guerra permanente all’orizzonte, si è già all’interno di una distopia.
La distopia nel cambio d’epoca
Nel vortice del presente appare veramente poderosa la narrazione che avvolge questo cambio d’epoca dai contorni ancora indefiniti che non può che preludere a tempi radicalmente diversi da quelli che stiamo lasciando a grande velocità alle spalle.
Pensare che le riflessioni odierne si riducano dal passaggio da un’emergenza sanitaria (e quindi pretendere la legittima libertà di opporvisi) alla guerra contro un sistema di valori contrari ai nostri (prima era l’islamismo suicida, ora l’imperialismo russo, come se fossimo nella trama di un film anni ’80) è una posizione completamente sballata.
Per chi ritiene centrale il ruolo dell’individuo all’interno della collettività, tuttavia, prepararsi a un’epoca nuova non significa cambiare i propri valori.
Nella follia di un passaggio dallo stato di eccezione come quello pandemico, a quello di guerra permanente all’orizzonte, il miglior posizionamento individuale resta quello improntato a un disincanto che sappia preservare la lucidità interiore e l’equilibrio del rapporto con l’esterno.
Non ci sono bandiere così lucide da sventolare, così chiare e senza macchia da poter essere impugnate senza ritrovarsi col dubbio di esser diventato parte del problema e non della soluzione.
Eppure, in una situazione come quella che stiamo vivendo, con tutte le anomalie e storture che quotidianamente denunciamo, resta centrale il ruolo della politica nel creare le condizioni di abitabilità all’interno di questo “cambio d’epoca”.
E con essa gli apparati collegati, dalla burocrazia all’informazione, e certamente, la situazione non appare certo florida.
Purtroppo, però, ogni narrazione fin qui proposta è rimasta ancorata a una visione binaria del tutto, strettamente definita dalla centralità “scientifica” della questione sanitaria e in quella valoriale della guerra, piuttosto che analitica.
Questo è stato un errore politico o una scelta? Sarebbe complesso riprendere la questione heideggeriana dell’impossibilità della scienza di pensare filosoficamente (e quindi politicamente), e trasportarla sul piano morale della guerra.
Ma quando il postulato egemone di una comunità governata dalla politica si fonda sul passaggio dalla ricerca di una malattia alla caccia al nemico, si è già all’interno di uno scenario distopico.
Certo, individualmente ci si può sempre sottrarre alla follia, ma l’attività della politica resta fondamentale nel rendere comprensibile il “mondo nuovo” che si profila all’orizzonte.
Ma il problema strutturale del mondo attuale è proprio l’emarginazione della politica: né gli imperi né la globalizzazione sono polis e dunque non hanno bisogno della politica.
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