In un mondo dilaniato dalla guerra Einstein parlava di porre fine alla crudeltà non solo contro gli umani ma anche contro gli altri animali. Alla base delle ragioni del socialismo.
Le ragioni del socialismo contro ogni barbarie
Ogni giorno vengono macellati 200 milioni di animali. Quelli ammazzati in altro modo sono molti di più. Di fronte a questo massacro di vittime innocenti, spessissimo cuccioli, di fronte alle immagini di sevizie e torture inimmaginabili che non hanno altro fine che il profitto e la tracotanza di società distruttivamente antropocentriche, bisognerebbe solo ammutolire e, invece di guardare dall’altra parte, fare uno sforzo collettivo per cambiare direzione al nostro modo di vivere.
Sono vent’anni che attivisti animalisti mi mostrano quelle immagini terrificanti e mi ingiungono di “agire ora” e mi chiedono “cosa fai tu per fermare tutto questo?“. E, inequivocabilmente, la mia risposta è sempre la stessa: anche se penso sia moralmente giusto che ognuno di noi faccia la sua parte cercando di cambiare le proprie abitudini, anche se considero un eroe chi, rischiando la propria libertà o, in alcuni casi, la propria vita, riesce a strappare dal braccio della morte dell’industria animale anche un singolo individuo senziente, tutto questo non solo non basta ma non è neanche un passo verso la soluzione del problema.
Perché una società veramente emancipata e solidale è possibile realizzarla solo cambiando le leve della produzione dove si decidono i destini delle classi e dei popoli. Una società autenticamente democratica e razionale può emergere solo laddove si è posto sotto controllo e alla fine cancellato il potere disponente e irrazionale del capitale sulle nostre vite.
Oggi come ieri dico loro che chi vuole veramente aiutare gli animali non umani deve anzitutto combattere per obiettivi che apparentemente non hanno nulla a che fare con il loro destino qui e ora: contro i privilegi delle classi possidenti, contro l’informazione al loro servizio, contro tutto ciò che impedisce l’auto-organizzazione delle classi subalterne e dei soggetti oppressi, discriminati e sfruttati.
Non è cinismo, è un’analisi di realtà che cerca di andare oltre l’immagine dell’orrore e dei corpi straziati per comprenderne le cause. Se sostituiamo a questo discorso i cadaveri umani, il gas alla carne e l’intervento armato all’apertura delle gabbie, non cambierebbe molto.
Perché anche qui ogni discorso che dice “noi” dimentica che quel “noi” è attraversato da conflitti di classe che non spariscono di fronte all’esplosione di una violenza che è endemica e presente intorno a noi in ogni istante.
Non c’è risposta adeguata al “che fare?” che dimentichi o derubrichi a variabile secondaria il fatto che classi sottoposte alla violenza del capitale non “fanno” proprio niente, né in politica interna né in politica estera. E che per poter iniziare a “fare” bisogna prima creare le condizioni di possibilità per questo attraverso un conflitto mirato: un conflitto di classe che è l’unica forma del conflitto che lavora oggettivamente per la pacificazione dell’esistente.
In un mondo dilaniato dalla guerra Einstein parlava di porre fine alla crudeltà non solo contro gli umani ma anche contro gli altri animali. Da ragazzo ho imparato anche da lui che la lotta per il socialismo e l’internazionalismo sono l’unica ragionevole e sensata risposta anche quando l’orrore tutto intorno sembra convincerci del contrario.
E lo credo ancora.
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