Dopo la pandemia per capire quale contesto economico troveremo, è importante analizzare le caratteristiche delle famiglie e delle imprese italiane.
Dopo la pandemia la tempesta perfetta
Secondo Wikipedia, il termine tempesta perfetta è impiegato in meteorologia per descrivere un ipotetico uragano che colpisca esattamente l’area più vulnerabile di una regione, provocando il massimo danno possibile per un uragano di quella categoria.
L’espressione è stata ripresa dall’economista Nouriel Roubini, che la utilizzò nel 2012 per profetizzare la fine dell’euro. Si tratta, in sostanza, di un mix di condizioni finanziarie, tali da portare a un crollo del mercato o addirittura di tutto il sistema economico.
Economia da pandemia
Qualche settimana fa il centro studi di Confindustria ha pubblicato uno studio in cui afferma che con la crisi da COVID-19 l’Italia ha avuto una contrazione in termini di PIL che porta il Paese indietro di 23 anni. Una vera e propria tempesta perfetta, causata in marzo-aprile da un doppio shock di domanda e offerta, che ha prodotto effetti dirompenti sull’economia italiana.
Il Governo Conte – come tutti i paesi dell’UE – sta cercando di evitare la catastrofe con una serie di misure di politica economica che dovrebbero sostenere l’economia: ristori, contributi a fondo perduto, credito d’imposta sugli affitti commerciali, blocco dei licenziamenti.
In particolare, il blocco dei licenziamenti era stato introdotto con il Decreto Cura Italia del 17 marzo 2020: esso prevedeva che per la durata di 5 mesi non potessero essere avviate procedure di licenziamento collettivo e di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, indipendentemente dal numero di lavoratori nell’impresa. Qualche giorno fa lo stesso Presidente del Consiglio ha prorogato questo blocco fino a marzo 2021.
Le misure, nonostante difficoltà fisiologiche, critiche e ritardi, stanno funzionando discretamente. Certo, esistono ampi margini di miglioramento, ma con la pandemia in atto, gli sforzi del Governo si concentrano, in primis, sul sistema sanitario per evitare che collassi.
Per capire però quale potrebbe essere il contesto economico dei prossimi mesi, è importante analizzare le caratteristiche delle famiglie e delle imprese italiane.
Le famiglie italiane
In Italia abbiamo circa 26 milioni di famiglie, ognuna delle quali ha una spesa media per consumi di 2.560 euro mensili. All’anno, significa un po’ meno della metà del PIL italiano.
Un’analisi incrociata con il mercato del lavoro ci mostra una peculiarità preoccupante: quasi 20 milioni di famiglie hanno soltanto un percettore di reddito o, non avendo nessuno che lavori, si affidano a meccanismi di solidarietà sociale o di parentela, ai risparmi accumulati e alla ricchezza posseduta.
In sostanza vuol dire che gran parte dei consumi è legata al reddito di un singolo, ai trasferimenti pubblici o agli aiuti di terzi. Fonti che, con la pandemia, sono diventate sempre più incerte e volatili.
Le imprese italiane
Per ciò che riguarda la struttura imprenditoriale italiana, storicamente essa è costituita da piccole e medie imprese (PMI, ovvero quelle che hanno un numero di addetti inferiore a 250). Se facciamo riferimento agli ultimi dati disponibili emergono due elementi critici:
1) la quasi totalità delle imprese italiane è rappresentata da PMI, che assorbono oltre la metà degli occupati complessivi;
2) le grandi imprese sono pochissime, ma danno un contributo rilevante in termini di lavoratori assunti.
Un recente rapporto del CERVED ha provato a valutare l’impatto della pandemia sul grado di rischio delle PMI attraverso un metodo di scoring che prende in considerazione una serie di ipotesi sull’evoluzione della pandemia e sulle misure di lockdown messe in atto dal governo ed elabora, sulla base di esse, previsioni macroeconomiche e microeconomiche su fatturato e sofferenze delle imprese.
Il rapporto afferma che: il peggioramento del profilo di rischio caratterizza tutte le dimensioni di impresa, anche se con intensità diverse […] A differenza di quanto vediamo per le piccole e le medie, in cui le imprese a rischio superano le società sicure, la distribuzione delle grandi imprese rimane fortemente concentrata nell’area della sicurezza, con circa quattro sicure per ogni impresa a rischio.
Chi è imprenditore lo sa benissimo: le PMI hanno grossissimi problemi di liquidità e di accesso al credito, anche se riescono a realizzare profitti. Storicamente le banche hanno sempre razionato il credito, a maggior ragione, in un momento delicato come questo, tenderanno a ridurre i prestiti alle aziende, a chiedere garanzie accessorie e a fissare standard di solvibilità, liquidità e redditività molto elevati.
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Dopo la pandemia: uno sguardo al futuro
Ipotizzando che entro la prima metà del 2021 si inizierà a intravvedere la luce in fondo al tunnel (vaccino, cure domiciliari più efficienti, nuove terapie…), occorre tenere conto delle peculiarità del sistema economico italiano poc’anzi dette, per ipotizzare le ripercussioni che avrà questo annus horribilis sul nostro paese. Gli ultimi dati dell’ISTAT parlano di una contrazione del 9% del PIL e di 473 mila occupati in meno rispetto all’anno precedente.
Tuttavia, è probabile che gli effetti della pandemia siano solo all’inizio: molte altre piccole e medie imprese chiuderanno perché continuerà a diminuire il fatturato e non saranno in grado di far fronte a crisi di liquidità visto che è inevitabile un credit crunch da parte delle banche, nonostante le raccomandazioni della UE. Questo genererà disoccupazione (il blocco dei licenziamenti non può durare in eterno) che andrà a danneggiare la già fragile struttura dei consumi delle famiglie.
La crisi dei consumi genererà ulteriore recessione, innescando un circolo vizioso che verrà acuito da quello che gli economisti chiamano “cliff effect”, cioè un’amplificazione sproporzionata degli effetti, positivi o negativi, di un’azione, in questo caso il ritiro di parte o di tutti gli interventi di sostegno all’economia che i vari Paesi membri dell’Unione hanno messo in campo in questi mesi.
Se non è la tempesta perfetta, poco ci manca.
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