C’è umanità solo nell’istituzione simbolica della vita, in assenza di essa c’è la vergogna, quella che ha provato il Pontefice.
Il “fare gioco” e la vergogna nel Papa
Quando due parti di un ingranaggio, di un circuito elettrico, di un mobile, di un qualsiasi apparecchio, non sono ben stretti, si dice che “fanno gioco“.
In francese, in tedesco e in inglese, recitare si dice giocare: jouer, spielen, to play.
Cosa ci dicono queste due cose? Ci dicono che c’è gioco finché c’è una distanza, uno scarto.
Due elementi non sono ben stretti e fanno gioco, lasciano uno spazio in cui potersi muovere. A teatro si gioca perché si rappresenta quel pericolosissimo luogo di confine fra ragione e disragione che è la vita umana: la vita sembra non avere senso con la morte di sé e dei propri cari sempre in agguato, con il tempo che ci cancella persino i ricordi e rovina ogni sicurezza, e ci tenta verso il nulla, la dissoluzione nichilistica, la pulsione di morte.
Gli uomini e le donne allora fanno teatro già solo vivendo: creano dei “come se” per istituire la vita, darle un senso oltre il nulla. E il teatro è una rappresentazione nella rappresentazione che, come la vita, si muove fra il nulla e la costruzione di un fondale per vivere una vita dotata di senso.
Gli esseri umani si parlano, hanno qualcosa da dirsi, perché fanno gioco, perché sanno muoversi al confine fra la ragione e il nulla, fra l’istituzione della vita e la tentazione del nulla.
Parlano, si confrontano perché in quel confine non c’è nulla di sicuro, deciso una volta per tutte. La vita va sempre costruita, ed è difesa dal risucchio del nulla. E quando gli umani parlano e si parlano allora fanno teatro, costruiscono, elaborano simbolicamente il mondo e, così facendo, lo sottraggono al nulla della morte senza senso.
Le nostre identità si costruiscono nel fare gioco, nel lasciare lo spazio all’altro affinché si possa parlare del nulla e di come contenerlo, contrastarlo, attenuarlo istituendo la vita, costruendo fondali, quinte teatrali, rappresentazioni. Si diventa persone dotate di identità nel momento in cui lasciamo uno spazio affinché l’altro ci possa parlare, affinché l’io e il tu possano parlare di un terzo assente: cosa ci facciamo al mondo, esiste l’aldilà, esiste un Dio?
La guerra è certamente la sconfitta di ogni scarto, di ogni fare gioco: tutto diventa compatto e il capo dell’armata decide, per tutti, i valori, i significati, le domande e le risposte.
Allora chi è fuori dalla guerra, chi non è direttamente vittima della violenza, ha il dovere di mantenere lo scarto, di pensare per il presente e soprattutto per il futuro un mondo in cui si possa continuare a fare gioco, in cui 13 miliardi di euro possano essere usati non per annullare lo scarto, ma per per costruire paesi e istituzioni che favoriscano lo scarto, il riconoscimento, il teatro, l’istituzione della vita.
Che la sinistra di questo paese, tranne rare eccezioni, non sappia dire che c’è pace solo nello scarto del fare gioco e c’è umanità solo nell’istituzione simbolica della vita, angoscia profondamente. E sì, c’è da vergognarsi, proprio come ha fatto Francesco.
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