Dries Mertens ed il Napoli sono stati una cosa sola per 9 anni, conditi da 148 gol e magie incredibili, gesti d’amore e scambi d’affetto. L’addio a scadenza di contratto non è uno di quelli qualsiasi.
Mertens è stata la nostra “bella giornata”
Non amo le smancerie, so bene che questi sono professionisti, che c’è una dimensione del calcio dominata irreversibilmente dal mercato. Detesto il folclore, rivendico il diritto di fischiare anche il giocatore migliore, e magari subito dopo applaudirlo.
Sono stato uno dei primi a scrivere della necessità di rifondare la squadra in tempi non sospetti, privandoci anche di uomini che della stagione sarriana erano stati protagonisti importanti.
Credo che pure l’addio a Mertens sia nella logica delle cose, si, anche quello a Mertens, a questo punto, come ci stava quello, perfino tardivo, ad Insigne.
Eppure…
Eppure Dries è decisamente la storia del Napoli di questi ultimi anni. Mertens, sono 148 gol con questa maglia, superando Diego e Hamsik. Mertens è stato il nostro furetto, il nostro Speedy Gonzales, il nostro figlio di puttana, anzi figlio ‘e sfaccimma, il nostro ultimo grande poeta.
Mertens ha chiamato suo figlio Ciro per farci sapere e far sapere quanto ha amato questa città difficile (lo so, per molti sarà retorica: per loro tutto è retorica). Mertens, non c’è chi non lo abbia incontrato in giro, lui e la sua Carmela (se lui è Ciro, lei non può che essere Carmela, copyright Marco Ciriello), e non ha potuto testare la disponibilità al sorriso, pure coi tifosi più cacacazzi del pianeta.
Mertens: il nostro ultimo tenero e sorridente cinico, dopo Troisi. Mertens: andava fatto dirigente, anche se un tempo fu ammutinato, anzi proprio perché un tempo fu ammutinato, perché l’intelligenza del potere – Moro docet – è questo: riuscire a portare il rivoluzionario nel suo cuore umanizzandolo.
Mertens: ha ricomposto la città divisa, ha superato – dribblato – Mimì Rea e le sue due Napoli. Mertens: con l’indolente e timido, troisiano, Hamsik (se Dries è Ciro, lui sarebbe stato un ottimo Gaetano, cit. Ricomincio da tre), ha dato un volto diverso alla città, è stato l’alternativa vera a Gomorra, ha dimostrato che possiamo esser temuti/schifati/ammirati per un dribbling e un balletto con Starace, che lì c’è tutta l’essenza della nostra superiorità di pensiero, di visione, di ironia, a compensazione della inferiorità di organizzazione e progetto. Mertens è stato questo e altre cose ancora.
No, non ci sto. Gli addii fanno parte della vita come del gioco ma la vera maturità è nel saperli vivere, anche con i loro angoli celebrativi, quando ci vuole, non dribblare anche quelli, come in un infantile non saper sfuggire alla retorica senza evadere anche dai sentimenti e dalle emozioni. No, un saluto era una cosa che questo ragazzo si meritava e forse pure un po’ noi.
Tutto questo fa male.
Perché Mertens è stata la nostra “bella giornata”, è stato Capri, Ischia, Posillipo e, of course, Palazzo Donn’Anna, e poi patella e riccio, tracina e purpo e marvizzo.
Ci ha detto di non disunirci prima di Sorrentino, anzi lo ha detto alla maniera di un protagonista di “Leoni al sole” del grande Vittorio Caprioli (ancora La Capria): “Guaglio’ ricordati che se crollo io, crollerai pure tu. Qua dobbiamo stare tutti uniti e incoraggiarci con i complimenti”.
E in questo, anche se oggi pare sia un delitto (ché ci dobbiamo per forza fare una chiavica uno con l’altro), non c’è nulla di male. Siamo dei maestri nel farci a pezzi da soli, un po’ di autoincoraggiamento (senza tracimare nell’autocompiacimento, che è altra cosa) – una ‘ntecchia, un metro e 69 – non poteva farci che bene.
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