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Cina: dopo l’attacco all’Iran la fiducia nell’Occidente è finita

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Dopo la guerra USA-Isarele-Iran, la Cina perde ogni fiducia nell’Occidente: l’attacco a Fordow mina la credibilità diplomatica e rafforza la convinzione che Trump punti al caos per distrarre da Pechino. In Asia cresce la tensione: il vero scontro è solo rimandato.

Indo-Pacifico e strategia cinese: lo spettro dell’inaffidabilità americana

Il conflitto nel Golfo Persico tra Israele, Iran e Stati Uniti non ha solo infiammato il Medio Oriente, ma ha anche innescato un nuovo ciclo di riflessioni strategiche a Pechino. La Cina osserva da vicino gli sviluppi, consapevole che le “superbombe” sganciate su Fordow hanno colpito anche l’ultimo brandello di fiducia rimasto verso l’Occidente.

La campagna di bombardamenti mirati — condotta da aerei B-2 americani contro installazioni nucleari iraniane — non è passata inosservata tra gli strateghi cinesi, che ora valutano gli effetti sistemici di un’aggressione che, a loro avviso, mina ogni ordine internazionale basato sul diritto.

Il timore più profondo a Pechino non riguarda solo l’eventuale replica militare degli ayatollah o l’escalation in Medio Oriente. A preoccupare è soprattutto il modello americano di gestione delle crisi: un approccio muscolare, privo di coerenza strategica, spesso influenzato dagli umori di alleati regionali come Israele, più che da una dottrina geopolitica solida. Il tutto sotto la regia di Donald Trump, tornato a occupare un ruolo centrale nelle scelte di politica estera statunitense.

Il Sud-est asiatico e l’Indo-Pacifico si profilano dunque come nuove aree di instabilità, potenzialmente più gravi. Qui, la Cina non è soltanto potenza regionale: è l’interlocutore sistemico che sfida l’egemonia americana, non più con l’ideologia, ma con un capitalismo autoritario che ha dimostrato efficacia nel combinare produttività industriale, pianificazione statale e tecnologia avanzata.

Il “nemico pubblico numero uno” degli Stati Uniti, come viene spesso definita Pechino, non teme tanto la potenza militare quanto l’imprevedibilità diplomatica dell’Occidente. E quanto avvenuto in Iran è stato letto come una conferma che Washington è pronta a tutto, anche a violare gli equilibri internazionali, pur di imporre la propria visione.

Dopo Fordow: la dottrina cinese tra prudenza e deterrenza

Secondo quanto riportato dal South China Morning Post, influente quotidiano di Hong Kong, le élite politiche cinesi hanno tratto conclusioni molto chiare: l’America di Trump è tornata ad agire unilateralmente, abbandonando ogni residuo di mediazione multilaterale. «Il rischio di un conflitto globale è aumentato» scrivono gli analisti cinesi, rilevando che gli Stati Uniti, proprio come nel caso dell’Iraq di Saddam Hussein, agiscono oggi secondo la logica dello shock and awe, colpendo con forza per paralizzare l’avversario. Ma questa logica, avvertono da Pechino, non produce rispetto: genera diffidenza.

La Cina, che negli ultimi anni ha accresciuto la propria influenza mediorientale — basti pensare alla mediazione tra Iran e Arabia Saudita del 2023 — si è trovata costretta a ricalibrare il proprio approccio. Da un lato, ha dovuto rinunciare a un ruolo più attivo nella crisi iraniana, consapevole della difficoltà di contrastare l’asse israelo-americano. Dall’altro, ha rafforzato l’idea che affidarsi all’Occidente, in una fase così volatile, è un azzardo strategico.

Il timore maggiore è che l’aggressività americana possa riflettersi anche nell’Indo-Pacifico, dove le tensioni su Taiwan e le dispute marittime con Giappone, Filippine e Corea del Sud restano irrisolte.

Il vero pericolo è che gli Stati Uniti finiscano per essere trascinati in nuovi conflitti regionali non per scelta, ma per obbligo verso i propri alleati. Una dinamica che renderebbe Washington meno razionale e prevedibile, e quindi più pericolosa anche per la stabilità globale.

L’attacco a Fordow ha messo in crisi anche l’architettura della non proliferazione nucleare. Se un impianto sotto tutela dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica può essere bombardato senza gravi ripercussioni, quale incentivo avrebbero altri Paesi a rispettare i trattati internazionali? È questo il lascito più devastante dell’intervento americano in Iran: l’idea che solo il possesso dell’arma atomica possa davvero garantire la sovranità.

In questa nuova fase, l’Indo-Pacifico rischia di diventare ciò che il Golfo Persico è stato per decenni: il teatro dove si decide il futuro ordine mondiale.

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