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Il Pentagono smentisce Trump: gli attacchi Usa ai siti nucleari iraniani non hanno distrutto gli impianti, ritardando il programma solo di pochi mesi. Le centrifughe sono intatte e l’uranio era già stato spostato. La Casa Bianca contesta, ma la fuga di notizie pesa.
Attacco all’Iran: “Programma nucleare non distrutto, solo ritardi minimi”: le rivelazioni del Pentagono e le reazioni politiche
Gli attacchi statunitensi ai siti nucleari iraniani di Natanz, Fordow e Isfahan, lanciati domenica su ordine del presidente Donald Trump, non hanno raggiunto gli obiettivi dichiarati. Secondo una valutazione preliminare della Defense Intelligence Agency (DIA), diffusa in esclusiva dalla CNN, i raid non avrebbero compromesso in modo sostanziale la capacità del programma nucleare iraniano.
Al contrario, i danni sarebbero “limitatissimi” e il programma atomico di Teheran sarebbe stato ritardato solo di alcuni mesi, non certo distrutto, come invece aveva sostenuto Trump.
La notizia rappresenta una smentita clamorosa alla narrazione ufficiale dell’ex presidente, che aveva parlato di “distruzione completa e totale” degli impianti. La DIA, braccio d’intelligence del Pentagono, ha effettuato un’analisi dei danni di battaglia attraverso il Comando Centrale delle forze armate Usa, arrivando a conclusioni opposte.
Le centrifughe risultano in gran parte intatte, e le scorte di uranio arricchito, secondo il New York Times, erano state trasferite in siti segreti prima dell’attacco.
La Casa Bianca contesta, ma la fuga di notizie apre una breccia
La Casa Bianca, attualmente sotto l’amministrazione Trump, ha reagito duramente alle rivelazioni. La portavoce Karoline Leavitt ha definito la valutazione “assolutamente sbagliata”, sostenendo che si tratti di una fuga di notizie da parte di un “anonimo perdente” con l’obiettivo di “screditare il presidente Trump e i coraggiosi piloti coinvolti nella missione”. La Leavitt ha inoltre denunciato che si tratta di materiale classificato come top secret, trapelato illegalmente.
Ma la versione del Pentagono non è isolata. Anche Richard Nephew, ex negoziatore dell’accordo sul nucleare iraniano del 2015 per conto dell’amministrazione Obama, ha confermato al Financial Times che l’efficacia degli attacchi è stata modesta e temporanea. In parallelo, fonti dell’intelligence israeliana, citate dal Times of Israel, offrono una stima più ottimistica per Washington e Tel Aviv: secondo queste fonti, il programma nucleare iraniano sarebbe stato ritardato di diversi anni. Tuttavia, si tratta di una posizione non ancora documentata da elementi tecnici.
La discrepanza tra le valutazioni evidenzia la fragilità del consenso interno attorno alla strategia statunitense verso l’Iran. L’operazione militare si inserisce infatti in un contesto delicato: gli USA stanno negoziando su più fronti in Medio Oriente e un’escalation incontrollata con Teheran rischierebbe di destabilizzare ulteriormente la regione.
Le fughe di notizie, la diversità di valutazioni e la reazione scomposta della Casa Bianca mettono in luce una profonda tensione istituzionale e politica. Se le valutazioni della DIA verranno confermate, sarà difficile per l’amministrazione Trump giustificare l’efficacia strategica dell’attacco. Più che un’azione risolutiva, potrebbe apparire come un’operazione di facciata, pensata per rafforzare l’immagine del comandante in capo in un momento di crisi interna e di sondaggi incerti.
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