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Il social più diffuso al mondo tra gli adulti, modificando il suo algoritmo in maniera drastica per dare maggiore visibilità a contenuti leggeri e superficiali, si è riempito, letteralmente, di cazzate. Il caso più eclatante sono le centinaia di post, meme e pagine sull’effetto nostalgia del “come eravamo”, che in realtà nascondono ben altro obiettivo.
Cosa nascondono i tormentoni social sul ‘come eravamo’?
Per molti è considerato il social dei “boomer”, e forse non è un’etichetta del tutto sbagliata: parliamo di Facebook. La creatura di Zuckerberg, grande rivoluzione del secondo millennio, ormai da tempo ha cambiato rotta, modificando il suo algoritmo in maniera drastica per dare maggiore visibilità a contenuti leggeri e superficiali. Il social più diffuso al mondo tra gli adulti si è riempito, letteralmente, di cazzate.
Non che su TikTok e Instagram la situazione sia migliore, tutt’altro. Ma lì, per lo meno, la stragrande maggioranza di utenti è nella fascia dei giovanissimi.
E invece su Facebook impazzano pagine e contenuti completamente dediti alle “frivolezze”, usiamo stavolta un eufemismo. Per esempio, per capire di cosa parliamo, tra video di creatori improvvisati e spezzoni di film, è diventato popolare un trend nostalgico: il “come eravamo“.
Si tratta di centinaia di post con foto degli anni ’60, ’70 e ’80 che cercano di evocare “i bei tempi che non torneranno mai”: elegia di estate noiose al mare con la famiglia, di cabine telefoniche coi gettoni, di motorini Piaggio, zaini scolastici, cartoni animati, caroselli in tv e di una felicità collettiva che, aben vedere, nessuno ricorda realmente.
Il tutto a discapito delle notizie e dei contenuti di qualità, che vengono sistematicamente messi in secondo piano nel feed del social. Tuttavia, il vero problema è che questi post spesso contengono informazioni errate e dipingono un’immagine idealizzata di un passato che, in realtà, non è mai esistito.
Nessuno ricorda che se da un lato c’erano le cabine telefoniche, i vesponi, il colonnello Bernacca e le partite interminabili col supersantos, dall’altro c’erano le manifestazioni oceaniche per difendere i diritti dei lavoratori, c’erano i passamontagna, c’era chi aveva il ritratto di Stalin sopra il letto…
Ma com’è iniziata questa deriva dei social? La questione è politica, manco a dirlo. Per affrontare la cosiddetta ‘disinformazione’, termine che vuol dire tutto e niente, Facebook aveva avviato iniziative coinvolgendo fact-checker ‘indipendenti’ e rimuovendo contenuti ritenuti pericolosi per la salute pubblica.
Solo che questi fact-checker non erano così indipendenti come si voleva far credere, e le implicazioni dirette con gli apparati di sicurezza statunitensi da semplici discorsi da bar sono diventati fatti gettati con nochalance in qualche trafiletto sui giornali, fino ad arrivare all’ammissione dello stesso Zuckerberg, in una lettera ufficiale consegnata al presidente della Commissione Giustizia della Camera, delle pressioni subite dal governo degli Stati Uniti per censurare diversi contenuti sulla piattaforma.
Dunque, questa pratica di “pulizia dei contenuti”, è stata poi estesa ad altri temi sensibili, come terrorismo, guerre, e politica più in generale, ed ha portato a una limitazione drastica della visibilità di contenuti di natura sociale.
Di conseguenza, l’algoritmo ha cominciato a spingere contenuti sempre più “leggeri”, che però – al contempo – sono diventati strumenti per guadagnare e attirare consensi, spesso in modo subdolo.
Guadagni facili con il “bonus prestazioni”
Chi crea questi post spesso guadagna attraverso una nuova funzione che Facebook ha introdotto di recente, riservata a determinate pagine selezionate con criteri non del tutto chiari: il bonus prestazioni.
In sostanza, Meta paga i post che ottengono più reazioni e condivisioni, coinvolgendo un numero maggiore di utenti. Alcune agenzie di comunicazione hanno sfruttato questa funzione creando pagine tematiche sul “come eravamo”, pubblicando foto di persone, oggetti e scene degli anni ’60, ’70, ’80 e ’90, accompagnate da testi abilmente scritti per suscitare reazioni nostalgiche in un pubblico più anziano.
Il problema è che molti di questi post contengono informazioni false o fuorvianti e spesso sono pensati per esaltare il passato e le generazioni precedenti, screditando tutto ciò che è moderno. In pratica, il messaggio sottinteso è: “Il passato era migliore del presente, e noi che abbiamo vissuto in quei tempi siamo migliori dei giovani di oggi”.
Milgliori o meno, l’effetto è sempre lo stesso: narcotizzare, tranquillizzare, fidelizzare. Una manna per chi detiene le redini del potere.
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