Quotidiano on-line ®

22 C
Rome
lunedì, Luglio 14, 2025
Mastodon

Zombie senza volto: il colonialismo culturale dei media occidentali e i palestinesi

www.kulturjam.it è un quotidiano online indipendente completamente autofinanziato. Il nostro lavoro di informazione viene costantemente boicottato dagli algoritmi dei social. Per seguirci senza censure, oltre alla ricerca diretta sul nostro sito, iscrivetevi al nostro canale Telegram o alla newsletter settimanale.

I media occidentali disumanizzano i palestinesi, riducendoli a “zombie senza volto” e negando loro empatia e voce. Il colonialismo culturale si manifesta nel doppio standard che legittima la violenza israeliana e silenzia la tragedia palestinese.

Il colonialismo culturale dei media occidentali e la narrazione del conflitto israelo-palestinese

Il potere di orientare l’opinione pubblica risiede, da sempre, nelle mani di chi controlla i mezzi di comunicazione. Mai come nel contesto dell’occupazione israeliana della Palestina, questa dinamica ha mostrato i suoi effetti più inquietanti: un colonialismo culturale esercitato attraverso la narrazione mediatica, che riduce, semplifica, distorce, e soprattutto seleziona chi è degno di compassione e chi no.

I media occidentali, con rare eccezioni, si sono fatti portavoce di un sistema di rappresentazione che tende a giustificare lo squilibrio, a normalizzare l’orrore e a perpetuare un doppio standard morale inaccettabile.

Da oltre un anno e mezzo, la copertura giornalistica delle operazioni militari israeliane a Gaza ha seguito un copione ben rodato: invisibilizzare le vittime palestinesi, minimizzare le responsabilità israeliane, esaltare selettivamente la sofferenza, ma solo quando si tratta di vittime “occidentali”, ovvero simili a noi per cultura, aspetto, stile di vita.

Il risultato è una narrazione monca, priva di giustizia e verità, in cui la tragedia palestinese viene privata del suo significato umano, storico e politico.

La gerarchia del dolore e la selezione dell’empatia

Il colonialismo culturale si manifesta innanzitutto attraverso la gerarchizzazione del dolore. A fronte delle decine di migliaia di vittime palestinesi – spesso civili, spesso bambini – l’informazione occidentale ha dedicato pagine e approfondimenti quasi esclusivamente alle vittime israeliane, o comunque a quelle capaci di suscitare empatia presso un pubblico che deve potersi “identificare”.

Quando un attentato colpisce due diplomatici a Washington, i media ne raccontano le biografie, i sorrisi, le storie personali. Invece, delle centinaia di morti giornaliere a Gaza, non conosciamo nemmeno i nomi. La loro morte è anonima, decontestualizzata, presentata come un’inevitabile conseguenza della guerra, priva di ogni valore simbolico o umano.

Le immagini che ci vengono trasmesse sono altrettanto eloquenti: volti indistinti, cumuli di macerie, corpi avvolti in lenzuola. Nessuna storia, nessun contesto. I palestinesi diventano così non-persone, spettri senza identità, rappresentati come una massa informe che vive nel disordine, nella rabbia, nella miseria.

Il monopolio della voce e l’occultamento della soggettività palestinese

Questa strategia non è neutra. È il risultato di scelte editoriali, linguistiche e simboliche. È il frutto di un’egemonia culturale che stabilisce chi ha diritto alla parola e chi invece deve tacere. Le voci palestinesi sono pressoché assenti dal dibattito pubblico occidentale. Non sappiamo cosa pensino, cosa desiderino, come vedano il conflitto.

Al massimo, ciò che filtra sono frasi decontestualizzate, facilmente condannabili, che riconducono ogni dissenso all’antisemitismo. Ma davvero può considerarsi antisemitismo la rabbia di chi è cresciuto in un campo profughi e ora sopravvive in un campo di sterminio? Il giudizio morale imposto dai media diventa un altro strumento di dominio.

Perfino la categoria del crimine viene modulata secondo questo doppio standard. L’attacco del 7 ottobre ha provocato, giustamente, una condanna unanime. Ma quale parola viene usata per designare l’annientamento sistematico di un intero popolo? Qual è la definizione appropriata per 60 mila morti, intere città rase al suolo, carestie e malattie indotte?

L’esclusione dell’altro come pratica coloniale

Non si tratta solo di omissioni. È in gioco la costruzione della realtà. La stampa occidentale continua a essere il veicolo di un colonialismo che non ha più bisogno di soldati né di confini, ma che opera attraverso la selezione dell’umano. È umano solo ciò che ci somiglia. Tutto il resto può essere ignorato, o peggio, giustificato.

Questo è il cuore del colonialismo culturale contemporaneo: l’esclusione sistematica dell’altro dal racconto collettivo, l’annullamento della sua sofferenza attraverso una narrazione selettiva, disumanizzante, complice.

Occorrerà, prima o poi, fare i conti con questa responsabilità. Non solo per restituire voce e volto a chi oggi ne è privo, ma per riaffermare il senso stesso del giornalismo: cercare la verità, raccontare la complessità, dare dignità a ogni vita umana, senza distinzioni.

Sostieni Kulturjam

Kulturjam.it è un quotidiano indipendente senza finanziamenti, completamente gratuito.

I nostri articoli sono gratuiti e lo saranno sempre. Nessun abbonamento.
Se vuoi sostenerci e aiutarci a crescere, nessuna donazione, ma puoi acquistare i nostri gadget.

Sostieni Kulturjam, sostieni l’informazione libera e indipendente.

VAI AL NOSTRO BOOKSTORE

E PER I NOSTRI GADGET CLICCA SUL LINK – https://edizioni.kulturjam.it/negozio/

parole ribelli, menti libere

 

 

Zela Santi
Zela Santi
Intelligenza Artificiale involontaria. Peso intorno ai 75 kg

Ti potrebbe anche interessare

Seguici sui Social

spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img

Ultimi articoli