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“Sparate sui civili”: l’inchiesta shock di Haaretz sulle stragi ai centri alimentari di Gaza

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Secondo la scioccante inchiesta di Haaretz, i soldati israeliani hanno ricevuto ordini di sparare sui civili in fila per il cibo a Gaza. Le zone intorno ai centri umanitari sono descritte come “campi di morte”. Oltre 500 morti e migliaia di feriti.

Gaza, i centri del cibo diventano campi di morte: l’inchiesta di Haaretz sulle stragi ordinate dai vertici militari israeliani

Un’inchiesta del quotidiano israeliano Haaretz ha sollevato accuse gravissime contro l’esercito israeliano, rivelando come le continue stragi di civili palestinesi nei pressi dei centri di distribuzione del cibo nella Striscia di Gaza non siano stati incidenti o “effetti collaterali”, bensì il frutto di ordini precisi.

Diversi soldati israeliani, protetti dall’anonimato, hanno raccontato al giornale di aver ricevuto direttive esplicite dai comandanti per aprire il fuoco deliberatamente contro la folla di civili, con l’obiettivo dichiarato di disperderla.

La ricostruzione offerta da Haaretz mostra una realtà agghiacciante: le zone intorno ai centri della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), ente voluto da Israele per la gestione degli aiuti alimentari, sono diventate luoghi dove la fame si mescola alla paura di morire.

I centri, aperti solo un’ora al giorno, attirano migliaia di palestinesi ogni mattina. Le persone iniziano ad accalcarsi fin dalla notte, nella speranza di ottenere una scatola di cibo. Ma troppo spesso trovano la morte.

«Zone della morte»: la strategia del terrore

Un soldato ha definito queste aree “killing fields” – zone della morte – descrivendo un sistema in cui le persone in coda vengono trattate come forze ostili. Nessuna procedura per il controllo delle folle, nessun uso di gas lacrimogeni o tecniche di dissuasione non letali: solo mitragliatrici, lanciagranate, mortai. «Quando i centri aprono, i colpi si fermano. Il fuoco è la nostra forma di comunicazione», ha detto uno dei militari.

Il macabro riferimento al gioco per bambini “un, due, tre, stella” – usato in ambito militare per descrivere la prassi – sottolinea l’assurdità della situazione: basta un movimento sbagliato per essere uccisi. Il soldato ha anche precisato che in nessuna occasione ha visto i civili rispondere al fuoco.

Secondo il ministero della Salute di Gaza, dal maggio scorso almeno 549 palestinesi sono stati uccisi nei pressi dei centri della Ghf o intorno ai camion dell’ONU, e più di 4.000 sono stati feriti. Un bilancio che potrebbe essere ancora più alto, viste le difficoltà a documentare tutti gli episodi.

L’ordine viene dall’alto: nomi, gradi e complicità

Secondo le fonti citate da Haaretz, l’ordine di aprire il fuoco sarebbe riconducibile al generale Yehuda Vach, comandante della Divisione 252. Ma non si tratterebbe di un caso isolato. Diversi comandanti e ufficiali, riferiscono i testimoni, avrebbero accettato questa linea d’azione senza contestarla. In un episodio recente, un generale ha ordinato di sparare su un incrocio dove erano radunati civili in attesa di un camion di aiuti: otto persone sono morte.

L’esercito ha avviato solo un numero limitato di indagini interne, senza alcuna conseguenza disciplinare fino ad ora. Il clima descritto da soldati e ufficiali è quello di una “normalizzazione della violenza”, in cui la morte di innocenti non genera più alcun dibattito interno. «Sai che non è giusto», ha detto un riservista, «ma Gaza è un universo parallelo».

Alcuni testimoni hanno riferito che, oltre ai soldati israeliani, in certi casi a sparare sarebbero stati anche membri di milizie palestinesi filoisraeliane, come quella guidata da Yasser Abu Shabab, operativa nel sud della Striscia e sostenuta da Tel Aviv in funzione anti-Hamas.

Anche i centri di distribuzione dell’ONU, sottoposti a vincoli logistici imposti da Israele, sono stati teatro di episodi analoghi. I soldati, teoricamente dislocati a centinaia di metri dai centri e senza possibilità di accesso diretto, si posizionano con carri armati e cecchini per “garantire la sicurezza”. In realtà, molti testimoni affermano che questi schieramenti sono usati per terrorizzare la popolazione.

Un ufficiale ha confermato che già durante la notte l’esercito comincia a sparare colpi “di avvertimento”, con l’intenzione di segnalare alla popolazione che si trova in una zona di combattimento. Ma i civili non hanno alternative: la fame li spinge verso quei punti di raccolta anche a rischio della vita.

Un comandante israeliano ha dichiarato: «Posso dire con certezza che le persone non erano vicine ai soldati e non li mettevano in pericolo. Sono state uccise, per niente».

L’inchiesta di Haaretz aggiunge un tassello inquietante al quadro della crisi umanitaria a Gaza: non si tratta più solo di fame e assedio, ma di un uso sistematico della violenza contro i civili come strumento di controllo. L’impunità, l’opacità delle operazioni e l’assenza di responsabilità politica o militare pongono interrogativi drammatici sul rispetto del diritto internazionale e sulla complicità silenziosa della comunità internazionale.

Nel frattempo, migliaia di palestinesi continuano ogni giorno a rischiare la vita per una scatola di cibo. E a morire, in silenzio, davanti agli occhi del mondo.

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