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Il multipolarismo non nascerà dal dialogo, ma da conflitti e crisi. Tre modelli competono: anglosassone, cinese e russo. Nessuno garantisce pace. Senza regole condivise, l’ordine globale sarà instabile e frutto di scontri.
Multipolarismo: l’ordine che nasce dai conflitti
L’avvento del multipolarismo, spesso dipinto come la soluzione pacifica e razionale al dominio unipolare statunitense, rischia di essere tutt’altro che armonioso. L’idea diffusa che il nuovo assetto geopolitico mondiale emergerà attraverso il dialogo tra le potenze, gli accordi multilaterali e la cooperazione internazionale è, in realtà, una narrazione consolatoria. La storia e la realtà attuale suggeriscono il contrario: ogni nuovo ordine mondiale è nato da crisi profonde, guerre e violente ridefinizioni di potere. Non sarà diverso oggi.
Un nuovo ordine, ma a quale prezzo?
Il cosiddetto nomos del futuro – un assetto post-westfaliano in cui nuovi attori geopolitici si contenderanno spazi di influenza – non potrà nascere senza scontri. Il sistema westfaliano, sancito nel 1648, riconosceva il ruolo giuridico degli stati-nazione e degli imperi.
Oggi, però, tale logica è stata svuotata dall’ingresso sulla scena di soggetti sovranazionali come ONG, agenzie economiche e multinazionali che hanno eroso la sovranità statale.
Dopo la Seconda guerra mondiale, il nuovo ordine è stato unipolare, centrato sugli Stati Uniti. Ma l’egemonia non dura in eterno: ogni potenza egemone tenta di conservare il proprio vantaggio il più a lungo possibile, ostacolando il riconoscimento di nuovi poli.
Il multipolarismo implica la rinuncia da parte dell’unica superpotenza al proprio primato, cosa difficilmente ottenibile con la sola diplomazia. L’esempio storico della Guerra Fredda e degli accordi di Jalta è significativo: la ridefinizione degli equilibri avvenne dopo un conflitto mondiale. È dunque plausibile pensare che anche il nuovo ordine nascerà attraverso una “guerra mondiale a pezzi”, come definita da papa Francesco, ovvero una sequenza di conflitti regionali e scontri per procura nei punti di faglia geopolitica: Ucraina, Medio Oriente, Taiwan, Sahel.
Tre modelli di multipolarismo in competizione
In questo scenario emergono almeno tre visioni differenti del multipolarismo, ciascuna portatrice di un modello di relazioni internazionali ben distinto.
- Il modello statunitense (neo-jaltiano): immaginato tanto da Trump quanto da parte dell’establishment USA, prevede una nuova spartizione del mondo in blocchi di influenza. Ogni potenza maggiore avrebbe il proprio “cortile di casa”, con stati satelliti da gestire e proteggere in cambio di vantaggi commerciali e strategici. È un multipolarismo di tipo imperialista, basato sul potere e sulla deterrenza.
- Il modello cinese (armonia sotto il cielo): si ispira alla tradizione confuciana, rifiutando la logica amico-nemico a favore di un pluralismo cooperativo. Pechino propone un ordine fondato sulla non interferenza e sul rispetto delle vie molteplici alla convivenza umana. È un multipolarismo “soft”, che passa per l’ONU, gli organismi multilaterali e l’economia globale. Ma si scontra con la volontà egemonica di altri attori.
- Il modello russo (paternalismo imperiale): Mosca, pur priva di una reale dimensione economica globale, si propone come “padre” di una civiltà euroasiatica, offrendo protezione e riconoscimento in cambio di fedeltà. Questo approccio, che risale al Comecon sovietico, implica una gerarchia tra stati alpha (i grandi poli) e stati beta (le sfere d’influenza subordinate). Anche questo modello punta a una nuova Jalta.
Nessuno di questi modelli prevede una transizione pacifica. Il punto non è scegliere tra essi con un trattato multilaterale, ma con i rapporti di forza generati da scontri e crisi. I BRICS, spesso evocati come alternativa all’unipolarismo, non costituiscono un attore politico coeso, ma una piattaforma economica eterogenea dove convivono potenze con interessi divergenti: si pensi ai contrasti tra India e Cina, o alla posizione indiana, filoisraeliana e islamofoba, nel conflitto israelo-iraniano.
Verso un ordine instabile
Il multipolarismo, inteso nella sua accezione neutra (più blocchi di potere che coesistono), è in atto da oltre un decennio. Il discorso di Vladimir Putin a Monaco nel 2007 ha segnato una svolta simbolica, seguita da interventi militari e dalla nascita dei BRICS nel 2009. Ma un multipolarismo vero necessita di riconoscimenti reciproci, normative globali, organi di controllo riformati (come l’ONU) e soprattutto la definizione di confini e sfere d’influenza stabili. Senza questi elementi, ogni polo agirà secondo logiche di potenza, non di equilibrio.
Come sempre nella storia, prima viene la lotta, poi – forse – l’ordine.
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