In un momento importante per la città di Napoli, con prospettive e problemi antichi ma anche nuovi, manca chi dia voce al tutto. Manca Raffaele La Capria.
Napoli, quanto manca La Capria?
Leggendo “Napoli” di Raffaele La Capria, dove Mondadori mette insieme una serie di saggi già letti (ma che fa bene rileggere), si capisce che oggi in città una voce gigantesca come questa non c’è. In un momento pure importante per Napoli, con prospettive e problemi antichi ma anche nuovi, manca chi dia voce al tutto.
Ecco, La Capria, oggi assai semplificato da quelli che, appunto, la fanno semplice e preferiscono la lettura ideologica alla cronaca e alla riflessione, era una voce enorme, con alcune falle, è vero, ma anche quelle proficue (come pause che lasciano a te lo spazio per continuare), perché aveva uno sguardo complesso.
Per esempio, si dice sempre che il bersaglio di La Capria è la città plebea: non è vero. Lo scrittore se la prende con la piccola borghesia. La stessa “napoletanità”, che però tiene distinta dalla “napoletaneria”, è un prodotto piccolo borghese. L’opera napoletana di vero respiro europeo, per lui, è il Pentamerone, scritto da un borghese ma con la lingua dura della plebe di allora (sopravvissuta solo un po’ in Viviani e recuperata da archeologo in De Simone), per il resto l’autore de “L’armonia perduta” considera superiore ed europea la letteratura siciliana (Pirandello, Verga, Tomasi di Lampedusa).
Poi, c’è l’accusa all’amato Eduardo e agli Scarpetta di aver messo in soffitta il sulfureo Pulcinella, in cui Petito infonde la ricchezza della città, per inventare Felice Sciosciammocca, che è un petit bourgeois.
Infine, Raffaele La Capria è colui che attacca la Ortese sostenendo che il mare bagna Napoli, e critica un altro gigante come Domenico Rea, asserendo che non è vero che i napoletani non conoscono Capri (come Rea aveva raccontato in un pezzo su Sofia Loren). Mò, non è che Dudù non abbia preso i suoi fossi, eh, ma cavolo, quanto manca lui e tutti gli altri, i Rea, i Compagnone, e pure quelli che detestava, pure i Giuseppe Marotta, ecc…
Mi spiace che non vedesse i tratti del romanzo europeo in un’opera come Malacqua di Pugliese, che invece tratta temi universali e non ha uno sguardo ripiegato su Napoli: è un fosso dovuto alla ostilità verso la Napoli laurina di cui riteneva forse Pugliese un’espressione? Non lo so.
Però, ripeto, avercene oggi di gente come lui, come Pugliese, come il “provinciale” Prisco. No, abbiamo De Giovanni prezzemolino ogni minestra, banalizzatore tra i banalizzatori, e poi i surreali dibattiti a distanza tra pseudogiacobini e pseudovandeiani sul Napoli, tutti in realtà facce della medesima piccola borghesia, come lo era, attenzione, il grande Troisi o lo stesso Eduardo, ma ora con ignoranza (in senso letterale, nessuno si offenda) e rancore.
E senza ironia, senza profondità, senza il genio di quelli. Niente che elevi un po’ il discorso, il ragionamento, la riflessione…
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