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venerdì, Luglio 11, 2025
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Napoli campione d’Italia: Luigi Necco e Maradona se lo stanno raccontando nell’altrove

Nel giorno di un evento sportivo a suo modo storico, il terzo scudetto del Napoli, il primo senza Diego Armando Maradona in campo, ci permettiamo un meta-divagazione. Ci perdonino Diego e Luigi, senz’alcuna irriverenza, per parlar di nobili facezie: evviva il Napoli campione!

Luigi Necco e Maradona dialogano sul Napoli campione d’Italia

Da qualche parte nel mondo, in questo mondo o forse in quell’altro, l’argentino è seduto sulla chaise longue in una lucida pelle azzurra, telaio cromato, le impunture bianche in cordina. Occhio e croce non comodissima. Occupa i due posti di sbieco, le gambe accavallate e fasciate da pantaloni di mimetica.

La camicia in sgargianti fiori azzurri sul fondo biancopanna tenuta chiusa giusto dai due bottoni messi in crisi dalla pressione che da sotto esercita la pancia prominente. A completare il quadro, ai due estremi della figura, da una parte degli stivaletti Kaki, dall’altra un berretto a visiera corta, verde oliva, da cui spuntano, disordinati e oleosi, boccoli di sale e di pepe.

Sguardo interrogativo, con la testa spazza lo spazio d’intorno, accompagnato dal sigaro spento tra le labbra puntato come un mirino verso il vuoto lattiginoso formato da quella stanza che non ha pareti. È impossibile per lui non accorgersi della persona al suo cospetto, una corpulenta presenza maschile.

Se sta simulando quell’esagerato disinteresse, lo sta facendo maledettamente bene. Eppure conosce molto bene quel tizio appollaiato su di uno sgabello in pendant con quello su cui è mollemente adagiato. Gli è persino familiare quell’uomo in completo beige, sotto la giacca una Lacoste bianca, le scarpe in smalto marron a completare un look molto ordinario.

Talmente ordinario da far gridare assordanti, la cartelletta portadocumenti appoggiata sulle gambe e gli occhiali con lenti spesse due dita, con la montatura, spessa anche quella, in tartaruga. L’uomo in beige sembra divertito dal tentativo del suo dirimpettaio di ignorarne la presenza. E intanto si asciuga la fronte grondante sudore, guardandolo da sopra le lenti. Uno argentino con lontani avi italiani, nato in uno dei quartieri più poveri del distretto di Buenos Aires, l’altro italianissimo, partenopeo da decine di generazioni: sembrerà strano, ma per qualche motivo, praticamente parlano la stessa lingua.

L’argentino ha finalmente appoggiato lo sguardo sull’altro. Lo ha tenuto sotto tiro per un tempo teatralmente esagerato poi ha sparato. «­Anche qui mi vieni a rompere los cojones con le tue interviste?»
«Ma che vai dicendo Diego, mica è un’intervista» ha protestato l’altro
«Ah no? E cosa è?»
Un guizzo furbo sotto le lenti: «Una conversazione tra amici, diciamo»

«Balle, Luis. Tutto quello che dovevamo dirci ce lo siamo detti dall’altra parte, quando io ero il miglior calciatore del mondo e tu un giornalista da strapazzo» e ha sottolineato “strapazzo” con con un tono di cattiveria, facendo ballonzolare l’Havana.

«Vero, tutto vero. Ero e rimango un semplice cronista sportivo. Parlo solo di calcio, che è il meno serio degli argomenti. E mi rendo conto che di ancora meno serio c’è solo la cronaca rosa. Ma la buona notizia è che l’unico tra i due che poteva solo migliorare ero io, e forse l’ho fatto». Il tono è tra il risentito, il fatalistico e lo scherzoso.

E’ chiaro anche per l’interlocutore il tentativo di metterlo a suo agio, di ammansirlo, di aggraziarselo. Funziona: «Bueno, di cosa vogliamo parlare? Di calcio, di politica o di donne?»

«Di calcio, ma non escluderei le altre opzioni” ha ammiccato.
«Dime, di che partita vuoi parlare? Un mio gol, una mia giocata, di come da solo ho battuto quegli schifosi?»

«Dime? Diego, ma o ‘vero stai facenne? Dove vivi, su Marte? Del Napoli! Il Napoli dobbiamo parlare, cazzo! Ha vinto il campionato di serie A, dopo trentatrè anni!»
«Ah, quello. Si, ho sentito»
«Ho sentito. E’ tutto quello che hai da dire? Io esco pazzo, o ‘veramente!»

«La smetti di ripetere le mie parole? Cosa vuoi che ti dica, buon per loro. Io sono argentino, bonaerense, un quarto di sangue Italiano, un quarto croato, il restante guaranì. Cosa vuoi che mi importi di quel che succede a Napoli?»

«Ti dovrebbe importare, visto che è la città della squadra con la quale hai vinto i titoli più importanti della tua carriera e quella che ti ha tenuto legato più a lungo alle sue vicende»
«Balle, il titolo più importante per ogni giocatore è quello di campione mondiale. E io l’ho vinto con l’Albiceleste nel 1986»

Luis lo ha guardato, anzi lo ha trapassato, come volesse scandagliargli dentro. In profondità, facendosi spazio tra la cute, i muscoli, poi le ossa fin dentro quella testa così difficile da perscrutare.

«Avanti Diego. Non posso credere che non te ne importi. Seriamente: che ti succede?» Abbassando di un tono la voce, in tono paterno.
«Nada, cosa vuoi che succeda»

«Andiamo, lo sappiamo entrambi che normalmente questo evento ti avrebbe scagliato fin sotto il soffitto. Trentatrè anni in cui si è raccolto praticamente niente: un paio di coppe Italia a fronte di due retrocessioni in B e il fallimento della società. Adesso che si può finalmente dire che la rinascita è completata, adesso che questa città, questa gente ha finalmente dei nuovi eroi in cui credere, ammirare, ricordarsi e affidarsi tu mi dici che non ti fa né caldo né freddo? Qualcosa c’è sotto, non negare»

«Ecco, bravo. Lascia che Napoli porti in carosello e pompa magna quei nuovi eroi, sai cosa me ne frega a me? Anzi, vacci pure tu appresso così la smetti di rompere»
«Ah! Allora è questo! Temi che i napoletani si dimentichino di te!»
«Amico mio, i tifosi sai come sono, in un attimo ti scalzano dal piedistallo su cui ti hanno issato a forza neanche un attimo prima. Figurati se non lo so»

«Vorrai scherzare? Togliti dalla testa queste corbellerie! Tu sei il Re di Napoli! Lo sei diventato per acclamazione, un plebiscito universale ti ha calcato la corona in testa. I tuoi gol, le tue azioni, i fatti stessi della tua vita in questa città sono stati raccontati da scrittori e poeti, evocati da cantanti e attori, persino le sue mura riportano le tue effigi.

Tutto questo ancora a distanza di quasi quarant’anni, ti rendi conto? Che cavolo, persino lo Stadio dove è di casa il Ciuccio te ne ha reso gli onori, al punto di spodestare un santo per far posto al tuo nome, ai tuoi gol, alle tue vittorie, al tuo ricordo»

«Ma caro mio, io sono molto di più di un semplice santo. Io sono D10Se ha disegnato un numero uno nell’aria per poi è esplodere in una fragorosa risata.

«Tu sei l’immagine stessa di questa città» ha proseguito l’uomo in beige: «Quando in giro per il mondo si chiede quale personalità riporti immediatamente all’idea di Napoli il primo nome che si fa è il tuo. Non quello di Cimarosa, non Nino Taranto, non Eduardo e Peppino, non Capuana, non Troisi, non Scarpetta, non Totò, non Merola, non…»

Diego lo ha interrotto «Va bene, va bene ho capito. Smettila di snocciolare nomi che finisci per farmi sentire in colpa. Quella è gente che davvero ha dato qualcosa di grande a Napoli. Io ho solo preso a calci un pallone. E in questa città ho fatto anche delle cose di cui mi vergogno»

«Smettila, stai simulando una modestia che non fa parte del tuo essere. Quello che rappresenti oggi per la città non cambierà mai. Almeno fino a quando esisterà il calcio per come lo conosciamo. Te lo posso assicurare»

Diego l’ha squadrato perplesso e sconsolato. «Giura. Giuralo sul sangue di San Gennaro»
«Non funziona così, Diego. Si giura sui propri affetti, su cose tue. Puoi giurare sul tuo onore, sulla testa dei propri figli. Su tua madre…»
«Ehi, lascia stare Mamita!»

«Facevo per dire, era una madre generica, non la tua…tua. Era per fare un esempio. A Faccia gialla io son devoto, ma è il santo di tutti i napoletani, mica solo il mio. Se giurassi su di lui commetterei una bestemmia, un peccato di superbia che non mi perdonerebbe mai, alla faccia di qualsiasi confessione e relativa recita dell’atto di dolore mi venisse inflitta. E poi c’è anche il fatto che il santo in questione mi abita di fronte, e io ci tengo ai buoni rapporti con il vicinato. Dovrai accontentarti della mia promessa».

L’altro ha ascoltato con attenzione, come cercando un pensiero da qualche parte nella sua testa, infine trovandolo: «Renzo Arbore»
«Cosa?»
«Renzo Arbore, il cantante, il presentatore. Non lo hai messo in quell’elenco che mi hai fatto dei grandi personaggi napoletani. Cazzo, quello è bravo assai»

Luis rimane per un attimo interdetto, poi cogliendo infine il nesso: «Renzo Arbore? Eh, gli piacerebbe a quello di essere napulitano. Sarà anche bravo ma purtroppo per lui è solo pugliese, è di Foggia»

«Ah, non lo sapevo. Strano però. L’ho sempre sentito cantare in napoletano. Bah. Non  capisco. Che senso ha dirsi di una città quando invece si è di un’altra? Io non mi sognerei mai di dire di essere rioplatense. Forse la sua città non gli piace abbastanza, se ne vergogna? Tu che sai tutto, com’è Foggia?»

«Foggia? Boh, ci sono stato qualche volta ma solo di passaggio, non so se è brutta o bella. Però a dire il vero non ho mai sentito nessun foggiano vantarsi della sua città. È anche vero che in vita mia non ne ho conosciuti molti di foggiani»

Poi come ridestandosi: «Ma poi chi se ne fotte di Arbore e dei Foggiani? Insomma, vogliamo parlare del Napoli campione d’Italia o no?»
«Non sarebbe più interessante parlare di donne e di politica?»

Luis quando si incazza e vuole fare incazzare Diego, lo chiama “Armà”: «Armà, ma tu a chi vuò rompere o’ cazz?»

Diego ha alzato entrambe le mani in segno di resa, sorpreso e anche un po’ divertito:.«Okay amigo, okay. Non ti scaldare. Parliamo di quello che vuoi tu»
Luis ha annuito soddisfatto, ma a quanto pare non è mica finita lì:
«Però prima mi fai arrivare un buon matè. Sai, per sciogliermi un po’ la lingua» e ha fatto un’occhiolino, malizioso.

«Se è solo questo non c’è problema. Qui se si vuole qualcosa, basta desiderarla»
“Vaya! E chi paga?»
“la Direzione” ha risposto Luis, puntando gli occhi e l’indice della mano destra verso l’alto. Immediatamente dopo, una tazza fumante di Matè con una scintillante bombilla si è materializzata tra le mani dell’argentino.
«Ora vogliamo parlare di calcio, prima che ti venga in mente di desiderare una cena a base di asado?»

«Amigo, cosa vuoi che ti dica del Napoli Campeon? L’anno scorso hanno fatto le prove, questo hanno messo in opera quello che sapevano già fare: vincere. Un aggiustamento qua, uno là e il gioco è fatto.»

«È leggermente semplicistico, non ti pare?» ha obiettato Luis
«Si, ma quegli aggiustamenti devi saperli fare: mica è stato a cuor leggero che De Laurentis e il suo staff hanno deciso di rinunciare in un colpo solo a Insigne, Mertens e Ruiz. Ci vuole una visione di insieme, l’ispirazione, idee chiare su come ridisegnare l’organico, una struttura societaria composta da persone competenti…»

«E anche una certa dose di culo» ha suggerito l’altro, interrompendolo.
«La suerte è determinante, nella vita come nel futbol, certo. Quelli che se ne sono andati hanno portato via oltre che la sapienza tattica, una enorme bagaglio di esperienza. Riuscire a ripianare più che degnamente quelle perdite già al primo tentativo è stato sicuramente anche un grande colpo di fortuna. Sono assestamenti che normalmente richiedono tempo, pazienza e giri a vuoto. Nessuno ci avrebbe scommesso, claro. Ma chi si aspettava che un georgiano arrivato dal Dinamo Batumi si sarebbe rivelato quella straordinaria ala d’attacco?»

«Nessuno, infatti»

«Poi ad un certo punto dicono che arriva un coreano che viene Turchia al posto di Koulibaly e sembra che debba essere la fine del mondo. E invece così ti ribadiscono il loro azzardo era calcolato, la lungimiranza, illuminata. E mica è finita: con i soldi presi dal Chelsea riescono pure a regalarsi due scugnizzi d’attacco, Raspadori e Simeone da buttare dentro quando le cose vanno male. E chiamali fessi!»

«Vanno comunque a completare degnamente un organico niente male» puntualizza Luis.
«Già. Recuperano il miglior Osimhen che la stagione precedente era stato messo fuori dai giochi perché in un brutto incidente di campo ci aveva rimesso i connotati e possono contare su Anguissa libero dalle competizioni con la nazionale. Praticamente altri due nuovi acquisti. Senza contare i sempre prontamente disponibili sostituti di classe e peso come Zielinsky e Lozano»

«Osimhen è uno di quei nuovi eroi dal quale paventi il rimpiazzo nel cuore dei napoletani» ha provocato Luis.
«Andiamo Luis. Non è comunque uno di quelli che può vincere le partite da solo»
«Nessuno lo è. Ovviamente esclusi i presenti»
«Ecco, bravo. Non bestemmiamo. Però ti sbalordirò: Osimhen vale il mio Careca»
«Addirittura! Abbiamo detto dei nuovi o quasi, del resto dei componenti della squadra cosa mi dici?»

«Come ti ho già detto, l’equipo era già buona la scorsa stagione. Con i risultati sono arrivate anche dei salti di qualità individuali. Mi ha impressionato Mario Rui: dal Calimero che era è diventato un fior di laterale. Deve aver lavorato molto sulla concentrazione, quest’anno ha fatto pochissimi errori di valutazione.

Una volta corretta l’impostazione difensiva ha potuto proporsi in quella offensiva con più consapevolezza. La cessione di Ospina ha messo in condizione Meret di maturare con i piedi nel campo, Per un portiere la titolarità mette certezze e fiducia nei propri mezzi. Di Lorenzo ha acquisito sicurezza nei suoi mezzi già notevoli. Persino Politano quando è stato chiamato in campo ha risposto bene: lui è uno che ha sempre sovrastimato le sue capacità tecniche.

Per fortuna nessuno glielo ha mai fatto notare. Come per lo scarabeo: le leggi della fisica teoricamente non gli consentirebbero di librarsi in volo, ma lui non lo sa e lo fa lo stesso»

Luis ha riso di gusto: «è un bel paragone. Azzardato, ma bello»
«Adoro Lobotka. Ha lucidità, visione di gioco, sangue freddo, corsa e fisico. Mi sarebbe piaciuto giocarci insieme, magari al posto di quel maronna di Fernando.» Ha aggiunto divertito.

«E questi sono i giocatori. Cambiando argomento e parlando di avversari, qualcuno insinua che il Napoli ha vinto perché non c’erano avversari di livello, e quei pochi che c’erano hanno quasi subito abdicato»

«Balle. Tutte le squadre che vincono un torneo o un campionato lo fanno perché gli avversari non sono al loro livello. Non fosse così, tutte le partite finirebbero zero a zero.

Qualcuno per forza deve prevalere sulle altre. E’ però vero che le “grandi” erano impegnate con problemi interni non da poco. Il Milan ha avuto problemi con gli infortuni, Maignan il più grave. Ha perso in solidità difensiva e spesso si è fatto raggiungere alla fine delle partite, segno di una preparazione fisica scadente.

L’inter non si è mai ripresa dal trauma dell’aver perso, la scorsa stagione, un campionato già vinto. La Juve invece è stata travolta dalle inchieste sulla lealtà sportiva che l’hanno riguardata e la riguardano. Un intero CdA si è dimesso e il futuro societario è una grossa incognita. Però è anche vero che queste pretendenti sono comunque andate avanti nelle competizioni europee, fino a giocarsi le semifinali nelle rispettive coppe. Tanto male evidentemente non possono essere. Semmai la differenza dagli altri anni è che non c’è stato un vero testa a testa tra due o tre squadre.»

«Esatto. In primavera il campionato si era già praticamente deciso».
«In primavera? Figuriamoci. Alla quattordicesima giornata vincendo contro l’Empoli il Napoli ha messo tra sé e la seconda otto punti di distacco. Il campionato era ancora da giocare solo per chi di calcio non ne capisce niente»

«Esagerato. Da lì in avanti c’era ancora un girone e mezzo da giocare”
«Ecco la conferma. Non ne capisci un cazzo, di calcio. Valuta seriamente se non sia il caso, per il futuro, di occuparti alla pagina del gossip»

«Sei molto carino, grazie. Ma non consideri che sarebbe prima o poi, come infatti è successo, arrivata una certa flessione atletica?»
«Certo, ma a meno di non partecipare ad un campionato della Marvel, prima o poi quella flessione arriva per tutte le squadre. Quindi le situazioni si controbilanciano»
«Giusto», ha dovuto constatare Luis

«Semmai quello che dispiace è che quella flessione sia arrivata a ridosso dei quarti di finale di Champions League, contro il Milan. In un altro periodo della stagione non ci sarebbe stata partita. E comunque, tornando al campionato, il Napoli non lo ha vinto, lo ha stravinto. Come si dice in Italia? Ha “asfaltato” gli avversari. Altro che asfaltato: ci ha steso sopra un’autostrada a quattro corsie con a corredo un viadotto. Mancava giusto la corona d’alloro intorno alla testa: la vittoria a Torino contro la Juve è stata l’apoteosi, la consacrazione definitiva di un’annata formidabile»

«E di Spalletti cosa mi dici?»
«Ti dico che semplicemente lo adoro, Luis. Al di là della sua professionalità, della sua serietà, della sua sapienza tattica, ne amo soprattutto la dialettica. Ah, le sue interviste!

Non me ne perdo una. Spesso ci capisco poco, sarà un problema di lingua, ma mi dicono che anche gli italiani ci capiscono un acca di quel che dice. Ma anche togliendo l’audio si è in grado di capire il peso del messaggio che vuol portare. Le sue dichiarazioni sono voli fatti di metafore ardite, parabole sbalestrate, parole messe a casaccio, riferimenti criptici di cui solo lui conosce la radice. Delle supercazzole d’autore, cui nessuno si azzarda a decodificare.

E poi il carisma! Vuoi capire quanto carisma ha un allenatore? Vai ad una qualunque delle sue conferenze stampa. Se non senti volare una mosca mentre parla, sei in presenza di uno che ha due bolas grosse così. Puoi giurarci: quando parla lui, puoi affettare il silenzio con un machete. Poi cosa vuoi dirgli a uno che vince delle competizioni con Empoli, Roma, Zenit San Pietroburgo e Napoli? Con tutto il rispetto, parliamo di province del calcio. Mica Real, Barcelona, Manchester City o Paris Saint Germain. A vincere con quelle squadre sono bravi tutti.»

«Bene Diego, mi pare si sia detto tutto»
«Si. Anzi no. C’è da parlare di una città che aspettava da trentasei anni questo evento»
“Addirittura. Mò vuoi parlare pure della città? Non sarai un po’ troppo pretenzioso?» ha azzardato Luis.
«No, è che, sai… Forse è giusto. Cioe, è certamente giusto che questa gente abbia dei nuovi eroi. Anzi, i napoletani meritano dei nuovi eroi»
«Uà. E com’è che sei arrivato a questa conclusione?»

«Ho pensato ai bambini, a ‘e guagliune: loro che hanno visto di me, delle cose che ho fatto con la maglia azzurra? Poco e niente. Erano troppo giovani per essere stati presenti allo stadio negli anni in cui ancora facevo miracoli in campo. Quello che sanno di me sono le notizie su Wikipedia, alcuni miei sbiaditi filmati su Youtube, al massimo il bellissimo documentario che ha fatto Kusturika, poco altro.

La verità è che le lancette dell’orologio della Napoli calcistica si è fermato alle ore 16,45 di quel 29 aprile 1990. A quel Napoli-Lazio finito uno a zero con il gol di Baroni che decretò la vittoria del campionato di calcio di serie A, stagione 89-90. Ora è giusto che su quel piedistallo su cui Napoli e i napoletani mi hanno messo, io faccia spazio a questi nuovi campioni. Attento, non ho detto che ne scenderò. Mi farò cchiù piccerille. Sono sicuro che ci staremo comodi comunque.»

«Ne sono sicuro anch’io. Bene. Mi pare che possiamo chiuderla qui» ha convenuto Luis.
«Si, è ora di andare. Non so dove, ma si deve proprio. Ah, scusa se ti ho chiamato giornalista da strapazzo, non lo penso davvero. Anzi, penso che eri molto bravo nel tuo mestiere. Ed è sempre un piacere parlare con te. Adios.»

“Adios Diego. Che l’eternità non ti sia troppo noiosa.”

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Filippo De Fazio
Filippo De Fazio
Meridionale ma anche settentrionale. Sono lettore incallito e compulsivo, grafomane della vecchia scuola, ex calciatore dagli esiti disastrosi.

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