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Sovrappopolamento, competitività, ansia: la difficile convivenza tra gli 8 miliardi di abitanti al mondo

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Uno dei problemi più grandi del mondo attuale è la gestione di 8 miliardi di esseri umani che aspirano quasi tutti al modello di benessere statunitense.

La difficile convivenza tra gli 8 miliardi di abitanti al mondo

Miliardi di persone che si nutrono, si spostano, si istruiscono, lavorano, vogliono metter su famiglia, creano un bel problema gestionale. Tutto questo ci costringe ad interrogarci su come viviamo e sui limiti del nostro impatto ambientale:

– La Terra può forse sostenere 11 o 15 miliardi di esseri umani, ma è ragionevole spingersi al limite?

– Forse la produzione agricola e industriale può aumentare e qualche balzo tecnologico o una migliore gestione delle risorse (no sprechi, no disparità) potrebbero risolvere parte del problema, ma come ridurre il rischio di carestie e siccità? Come gestirle con così tante teste?

– Il programma spaziale va a rilento (anche in Occidente, di più), una certa reticenza a investirci su (inoltre questo risolverebbe il problema della densità abitativa e di qualche materiale specifico, non risolverebbe questioni più generali).

– La gestione delle nascite applicata in alcuni paesi asiatici è stata condannata da ONG, religioni e governi, ma de facto è stata un’ottima soluzione per tirare fuori dalla fame miliardi di persone in una manciata di decenni.

Possiamo trovare nuove soluzioni tecniche che ci permetteranno di tenere questo ritmo di crescita e di “colonizzazione” degli spazi, ma che senso ha vivere in un mondo senza montagne alberate? Senza mari incontaminati o senza spiagge deserte in cui fare il bagno? Già oggi tutto questo sta diventando più virtuale che reale: ovunque ci sono altri esseri umani.

Tutti gli esperimenti in ambienti controllati (e quindi come tali con validità limitata) applicati su altre specie, dimostrano che i mammiferi in un ambiente chiuso se raggiungono una soglia demografica critica aumentano aggressività, segni di stress, comportamenti disfunzionali (o banalmente epidemie). In altre parole si attiva una sorta di pilota automatico che riduce la popolazione a limite sostenibili.

Qui ci arriva utile la lezione dei popoli di cacciatori-raccoglitori probabilmente. Questi si relazionano all’ambiente non condizionandolo, ma traendone i beni necessari, accettando la possibilità di andare incontro a giornate dure. Questo tipo di produzione alimentare va incontro a un decremento, poiché il gruppo riduce la selvaggina e i vegetali commestibili, la soluzione scelta è quindi quella del nomadismo, a sua volta associata a un decremento dei beni materiali (che sarebbero un peso) e una gestione demografica (bambini e anziani avrebbero maggiori difficoltà a viaggiare).

Senza giungere a estremi neo-malthusiani non necessari, dobbiamo però interrogarci anche in questo ambito su come la nostra specie si sia evoluta e su come l’organizzazione attuale ne sia condizionata.

Oggi in Occidente, è in corso una pandemia da psicofarmaci, droghe, psicoterapia, dipendenze; tra i giovani i segni del disagio sono più vistosi, ma la mezza età (e un giro sui social ne è chiara dimostrazione) non se la cava meglio, sembra che la soddisfazione dei beni materiale, la riduzione dell’aggressività e il vivere in una comunità relativamente coesa e organizzata non stia creando maggiore serenità nell’esercito degli impiegati.

Tempo fa con Maurizio Tirassa, durante una puntata del podcast “La grande imboscata”, parlammo del senso di alienazione e insicurezza dato dalla lontananza dalla produzione alimentare: le persone non producono il cibo e non saprebbero neanche come fare (la seconda è la vera grande differenza rispetto alla maggior parte della storia) e questo genera un senso di dipendenza e precarietà, probabilmente inconscio.

Non si tratta di costringere il presidente dell’ESA o della Banca Centrale Europa ad aver un orto, si tratta di mettere tutti nella condizione di poterlo fare e soprattutto di SAPERE come fare in caso di necessità.

L’altro punto è quello della demografia, non tanto il numero di abitanti, quanto la densità e qui si torna agli esperimenti sui mammiferi e alla necessità di preservare alcuni spazi incontaminati. L’uomo si è evoluto in piccoli gruppi, auto-sufficienti che si spostavano di frequente per esigenze alimentari, ogni tanto incontrava altri gruppi con cui avvenivano scambi genetici, per lo più pare pacifici e organizzati. Anche l’idea che Homo Sapiens arrivato in Europa abbia ucciso in blocco tutti i Neanderthal non tiene, anzi sembra ci fossero gruppi misti (inoltre, è impensabile che esistesse una coscienza collettiva Sapiens).

Sembra, inoltre, che i nostri antenati avessero tanto tempo libero, il procacciare cibo occupava una media di 4-5 ore al giorno e poi il resto del tempo si facevano attività comunitarie: gossip, danze, balli, gioco, igiene personale, dormire.

Oggi viviamo in una società urbanizzata, opulenta, stanziale, concentrata sul lavoro, gerarchica, in esplosione demografica e in cui gli organismi internazionali indicano la “competitività” come valore positivo; in sostanza l’esatto opposto di ciò che ha caratterizzato l’Homo Sapiens (mi allargo tutto il genere Homo) dalla sua comparsa fino ad almeno l’agricoltura, allarghiamoci e diciamo fino al Mesolitico: milioni di anni contrapposti agli ultimi 15-20.000 anni.

La prossima che siete tristi ditelo al vostro terapista, state facendo la vita di un San Bernardo che fa il pescatore alla Maldive, sfido a non essere depressi.

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parole ribelli, menti libere

 

 

Gabriele Germani
Gabriele Germani
Roma, 1986. Laureato in Storia contemporanea e Psicologia, con Master in Geopolitica. Lavora nell’ambito pedagogico-educativo. Si occupa da anni dei rapporti tra il Sud e il Nord del mondo, con le lenti del neo-marxismo, della teoria della dipendenza, del sistema-mondo e dell’Eurasia. Con questa prospettiva ha pubblicato negli anni, alcuni libri e articoli di storia e antropologia, in particolare sull’America Latina. Riferimenti bibliografici: Uruguay e emigrazione italiana: sogni, speranze e rivoluzioni di Gabriele Germani (Autore), Anthology Digital Publishing, 2022. Ha inoltre in pubblicazione con Kulturjam Edizioni: una raccolta di riflessioni su BRICS e mondo multipolare, con introduzione di Gianfranco La Grassa e con Mario Pascale Editore un testo sulla politica estera italiana durante la II Repubblica. Cura un micro-blog sul suo profilo Facebook (a nome “Gabriele Germani”) e un Canale Telegram sempre a nome “Gabriele Germani” (t.me/gabgerma). Dirige inoltre il Podcast “La grande imboscata” su attualità, geopolitica e cultura su varie piattaforme.

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