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La conquista dello spazio: una nuova forma di selezione

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La conquista dello spazio, ultimo baluardo della conoscenza umana, oltre ai problemi scientifici rimanda alla questione del carico vivente.

La conquista dello spazio

Abbiamo sconfitto la poliomielite, abbiamo scoperto i fenomeni di piccolissima scala con la meccanica quantistica, abbiamo inventato l’automobile, e così via. Ora, a parte la generosa attribuzione della prima persona plurale, c’è da chiedersi quanto lontano ci abbia veramente portato questa vantata intelligenza.

Fra i conseguimenti notevoli è sicuramente la conquista dello spazio. Non nel senso che sia stato invaso da armate e domato sotto il nostro dominio, ma nel senso che abbiamo approdato con alcuni veicoli sul piccolo globo orbitante la Terra, e navigato attorno al sottile strato di gas che ci circonda.

Con questo, non voglio minimizzare il risultato raggiunto, né lo sforzo dei tanti che hanno dedicato la loro ingegnosità nel conseguire questo obiettivo. Vorrei solo, per l’appunto, porlo nella sua giusta dimensione.

C’è già chi pensa, infatti, a una esplorazione delle stelle più prossime, o perfino alla colonizzazione della galassia, come nei romanzi di Asimov. Poiché si sa ormai che la vita del nostro Sole, e quindi del nostro pianeta, non sarà eterna, anzi, la fine si approssima su scala cosmica, entro circa cinque miliardi di anni, bisognerà prendere in seria considerazione la salvezza della nostra specie, inviando esemplari su altri pianeti, questa volta in una vera e propria conquista.

Vorrei fare alcune considerazioni su questa futura impresa.

La conquista dello spazio

Ci sono tantissime speculazioni, per lo più tecniche, su come raggiungere e poi popolare un qualche pianeta che diventerà, suo malgrado, nostro ospite. Fra quelle che già circolano c’è la proposta di una flotta spaziale che trasporterà i futuri Adamo ed Eva e varie opinioni sulle sue dimensioni, i mezzi di propulsione, l’ambiente interno e tante altre problematiche sviscerate e risolte su carta.

La durata del viaggio sarà di secoli, se non millenni, e ci sarà l’inevitabile usura dei materiali, la necessità di sostituire parti meccaniche e la possibile corrosione di alcuni materiali. Non saranno problemi da poco, senza considerare le condizioni dello spazio interstellare, di cui conosciamo poco.

Ma poniamo che la futura tecnologia risolva tutti i problemi ingegneristici. Rimane la questione del carico vivente.

Come l’arca di Noè, ci troveremo a dover trasportare animali, quelli che saranno rimasti dopo lo scempio che stiamo combinando. Ci sono poi le piante: quali trasporteremo, solo quelle per nutrirci? O specie utili a ricreare una foresta. E quale? La foresta dell’Amazzonia, o di sequoie, o la foresta Nera europea? E quali specie di biotica acquatica, di acque dolci, salate o tutte e due? Quali batteri, microbi, insetti e funghi?

Queste sono questioni di cui ho trovato poco nella letteratura. Ma sono questioni di cui ammetto la mia limitata competenza.

Porrei invece altre questioni, come mio piccolo contributo.

La conquista dello spazio

La conquista dello spazio: il collo di bottiglia

La prima, riguarda la selezione dei rappresentati della nostra specie. Si sa che più individui ci saranno e meglio sarà, per evitare il noto collo di bottiglia genetico. Bisognerà, cioè, garantire una certa diversità genetica per evitare l’endogamia, con tutti i problemi creati dall’unione di consanguinei, che portarono, per esempio, all’estinzione della casata reale degli Asburgo di Spagna.

Servirà, quindi, il maggior numero di individui possibile, preferibilmente decine di migliaia. Ma non solo. Gli individui dovranno presentare una sufficiente varietà genetica fra di loro. Darwin aveva, nella sua perspicacia, ben compreso la deriva genetica, cioè, che quando alcuni individui emigrano essi avranno meno variazioni genetiche della loro popolazione d’origine.

Tutte le popolazioni umane derivano da piccoli gruppi emigrati dall’Africa sub-sahariana e quindi possiedono solo una parte della varietà presente nelle popolazioni che tuttora vivono lì. Quindi, al fine di assicurare una varietà di DNA significativa — per impedire problemi dovuti all’endogamia — è da lì che bisognerebbe scegliere i futuri astronauti (con buona pace dei suprematisti bianchi e degli eugenetisti).

La seconda questione riguarda, invece, il nostro comportamento. Oltre che di guerre, genocidi, e crudeltà nei confronti del prossimo, siamo responsabili della scomparsa di innumerevoli forme di vita e di un disastro ecologico nel prossimo futuro (qui, l’uso del “noi” è molto più giustificato). Cosa ci fa pensare che una popolazione, ancor prima di arrivare al suo futuro insediamento, si comporti in modo migliore, senza considerare rivolte, abusi di potere, e lotte fratricide?

I più ferventi sostenitori della tecnologia già immaginano che una soluzione si potrebbe trovare in qualche forma di intelligenza artificiale. Magra consolazione sapere che invece di migliorare e sopravvivere come specie, non siamo stati capaci di far altro che inviare delle deleghe meccaniche. E anche se dovessimo riuscire, queste macchine intelligenti, dopo aver approdato su un pianeta solitario e lontano, si guarderebbero intorno e direbbero: E ora?

Andy De Paoli
Andy De Paoli
Cresciuto negli Stati Uniti, ha studiato filosofia e materie scientifiche. Ora insegna matematica e inglese e scrive (prevalentemente in inglese). Sta ora completando un romanzo e un libro sull'etica.

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