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Dopo 15 mesi di guerra e massacri Hamas esiste ancora, ecco perchè Israele non ha vinto

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Se si potesse parlare di vincitori e vinti, all’interno di un contesto perennemente in bilico tra tregua e massacro senza fine, quello è Hamas, capace di tener testa per oltre 15 mesi alle forze armate più potenti del Medio Oriente, all’uccisione mirata di tutti i suoi leader e al blocco dell’assistenza da parte degli alleati come Hezbollah, in mezzo al massacro di decine di migliaia di civili.

La resistenza di Hamas e la non vittoria di Israele

Per il governo nazional-religioso di Benjamin Netanyahu, la vittoria poteva essere concepita solo con l’annientamento di Hamas. Tuttavia, questo obiettivo non è stato raggiunto. Per il movimento di resistenza palestinese, invece, la sopravvivenza era già una forma di vittoria, e così è stato.

Nonostante i pesanti colpi subiti e le significative perdite, Hamas ha dimostrato di essere ancora capace di combattere. Durante le negoziazioni per il cessate il fuoco a Doha, sono stati i suoi rappresentanti a sedersi al tavolo delle trattative, confermando la propria operatività. Nel frattempo, l’Autorità Nazionale Palestinese guidata da Abu Mazen è rimasta ai margini, salendo alla ribalta solo per il ruolo di capò in Cisgiordania, aiutando Israele nel reprimere le proteste nei campi profughi.

Uno Stato Palestinese inesistente

Prima del 7 ottobre dello scorso anno, l’idea di uno stato palestinese era inesistente. Le potenze globali, inclusi i regni ed emirati del Golfo, erano più interessati a tessere rapporti economici e tecnologici con Israele. Yahia Sinwar ha brutalmente ricordato al mondo che decenni di occupazione non potevano essere amministrati come un campo profughi, ma avrebbero coltivato odio e prodotto eventi tragici come quelli del 7 ottobre.

Con l’eliminazione di Sinwar, è suo fratello Mohammed a trattare la tregua, dimostrando che per ogni leader eliminato, ne emerge un altro, spesso più radicale. Questa dinamica rende improbabile una transizione verso il pragmatismo e l’inclusione. Il nuovo leader, infatti, non mostra segnali di abbandono della lotta armata in favore di una soluzione politica per l’indipendenza palestinese. Ma d’altronde, dopo il massacro e i numerosi crimini di guerra perpetrati dall’IDF nella Striscia, quale palestinese sarebbe mai pronto a porgere l’altra guancia per costruire un futuro diverso?

Inoltre le difficoltà interne al governo israeliano, con i partiti nazional-religiosi che rifiutano di ratificare i termini del compromesso per la tregua, complicano ulteriormente la situazione. Itamar Ben Gvir e Bezelel Smotrich vogliono garantire che la guerra riprenda fino alla vittoria definitiva, con l’obiettivo di ricostruire colonie ebraiche nella striscia di Gaza.

Il ruolo degli Stati Uniti e le incerte prospettive future

Il premier israeliano Netanyahu si trova in una posizione complicata, poiché Donald Trump non sembra disposto a garantire tutto ciò che Israele desidera. Il ritiro dal corridoio Philadelphia, al confine con l’Egitto, è una delle condizioni imposte dagli emissari di Trump. Israele ora ostacola una pace che Trump ha fatto sua missione.

Inoltre, la ricostruzione della striscia di Gaza necessita di finanziatori, soprattutto dal Golfo, che potrebbero non essere disponibili finché Hamas rimane al potere.

La comunità internazionale, escluso il governo israeliano, vede nella creazione di uno stato palestinese l’unica soluzione possibile al conflitto. Tuttavia, l’incomunicabilità tra i due popoli rende questa impresa quasi impossibile.

Gli emissari di Trump hanno riferito che anche i paesi arabi più freddi verso la causa palestinese non possono più permettersi di mantenere relazioni con Israele finché il conflitto non cessi e non si intraveda un negoziato di pace più ampio.

La capacità di resistenza di Hamas, la complessità delle dinamiche interne israeliane, e la pressione internazionale sono tutti fattori che influenzeranno il corso degli eventi. Una pace duratura sembra ancora lontana, ma la speranza di una soluzione politica non è del tutto svanita.

Ma il vero problema lo ha anticipato Blinken giorni fa: il numero di bambini radicalizzati a causa della guerra, non solo in Medio Oriente ma a livello globale, supera quello dei bambini uccisi a Gaza. Forse, considerando solo il dato numerico, non sarebbe saggio intraprendere da parte dell’Occidente, crociate contro tutti questi giovani.

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