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Comunismo e riformismo: le riflessioni di Palmiro Togliatti

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Che cosa è stato il Pci di Palmiro Togliatti? Un partito di lotta votato alla rivoluzione? O una forza di governo orientata al riformismo? Le riflessioni di Togliatti su comunismo e riformismo pubblicate nel luglio del 1962.

Palmiro Togliatti, comunismo e riformismo

Quando Palmiro Togliatti rientrò in Italia nel 1944, si trovò di fronte a dei passaggi delicatissimi. La Resistenza e la Liberazione, poi l’Assemblea costituente e le prime elezioni repubblicane. Il Pci doveva trovare una sua strada tra opposte possibilità che finirono per accompagnarlo per decenni: imporsi come partito rivoluzionario e rovesciare il sistema, oppure lavorare dall’interno del quadro politico nazionale, conquistare i propri obiettivi passo dopo passo contro il massimalismo e affermare la propria appartenenza al tessuto istituzionale italiano per un transito graduale al socialismo.

La cosiddetta doppiezza di Togliatti coincideva con un’attenta strategia politica, rimasta viva fino a Berlinguer. Dopo il 1989 e la svolta della Bolognina, quella strategia fu messa in soffitta assieme alla figura di Togliatti e di altri leader storici, lasciando la sinistra orfana di un progetto. Un’altra strada sarebbe stata possibile?

Palmiro Togliatti: riflessioni su comunismo e riformismo

Comunismo e riformismo

Stralci da Rinascita, luglio 1962 [Togliatti “Opere scelte” Editori Riuniti I ed. II ristampa luglio1981]

Il riformismo è stato combattuto dall’ala rivoluzionaria del movimento socialdemocratico internazionale, sia, dopo la rivoluzione, battuto con particolare vigoria, ricchezza di argomenti e logica serrata soprattutto da Lenin, sia, prima della conquista del potere, nelle file del movimento socialdemocratico internazionale, sia, dopo la rivoluzione, nella lotta contro i dirigenti e contro le aberrazioni di questo movimento. Ma prendete gli scritti di Lenin e vi trovate, nel
ben noto articolo «L’importanza dell’oro oggi e dopo la vittoria completa del socialismo [Lenin,Opere complete,vol.33,pag.92/99 Ed.Riuniti], l’affermazione seguente:

La pace di Brest fu l’esempio di una azione niente affatto rivoluzionaria, ma riformista e anche peggio che riformista, perché fu un’azione di arretramento, e le azioni riformiste, in linea generale, avanzano lentamente, con cautela, grado a grado, ma non vanno all’indietro.

La questione, secondo noi, non riguarda soltanto il ritmo, ma è da considerare in relazione sia con la situazione nelle quale ci si muove, sia con il contenuto del movimento.

Il vizio radicale del riformismo sta nel fatto che, in qualsiasi situazione, esso tende sempre a dimenticare e cancellare l’obiettivo generale e finale del movimento operaio, che è l’abbattimento del capitalismo, l’avvento al potere e la costruzione di una società socialista. In una situazione rivoluzionaria acuta, quando questi obiettivi possono e debbono essere raggiunti con una lotta immediata, dimenticarli e cancellarli è tradimento. Traditori furono quei capi socialdemocratici che, nella crisi acuta del primo dopoguerra, si unirono ai borghesi per impedire che la grande breccia aperta dalla rivoluzione d’ottobre, venisse allargata e tutta l’Europa diventasse socialista.

La loro azione, però, non ebbe in quel momento alcun carattere riformista: fu pura controrivoluzione. Ma le situazioni rivoluzionarie acute non sorgono molto di frequente e non si creano a piacere. Non basta affermare che si pone il problema del potere, perché questo problema si ponga realmente in modo immediato e possa venire risolto con una lotta rivoluzionaria diretta.

È evidente che in questa situazione la lotta per delle riforme, sia economiche che politiche, assume una importanza fondamentale. Il riformismo anche in questo caso, tende a dimenticare gli obiettivi finali della lotta delle classi lavoratrici, isolando la riforma stessa dal complesso della lotta per superare il regime
capitalistico. La lentezza diventa questione non più soltanto di misura, ma di qualità.

Palmiro Togliatti: riflessioni su comunismo e riformismo

Il movimento operaio, stagnando attorno a una posizione riformistica, si riduce ad essere forza subalterna in una società capitalistica, non riesce a vedere in ogni successiva sua conquista, anche parziale, un passo verso l’obiettivo finale e a servirsi di esso per procedere con maggiore sicurezza e più spedito.

È dunque vero che comunismo e riformismo, che le due concezioni del movimento operaio e dei suoi sviluppi si contrappongono. Il riformismo, prima di tutto, è cosa alquanto diversa dal paternalismo cattolico, al quale si può ridurre soltanto perdendo del tutto la strada del movimento operaio. Ma sono inoltre da prendere in considerazione motivi più sostanziali. Il primo riguarda il carattere che le riforme tendono ad assumere nell’attuale fase di crisi profonda delle strutture capitalistiche. Il secondo riguarda il carattere specifico del movimento operaio nel nostro paese. Vi sono paesi dove l’avanzata della classe operaia è oggi impedita da una aperta violenza reazionaria.

È assai probabile che, in questi paesi il crollo dei regimi reazionari sia accompagnato da un crollo, più o meno esteso, delle stesse strutture capitalistiche, davanti al quale anche un movimento riformista sarà probabilmente spinto ad avanzare più in fretta che non sia nel suo costume. Dove poi esistono ordinamenti democratici, come da noi, che si reggono sulla presenza e combattività di un forte movimento popolare democratico rivoluzionario, la via del riformismo non può essere presa senza affrontare riforme tali che incidano, più o meno profondamente, nella struttura stessa del capitalismo. I socialdemocratici italiani non fecero del riformismo sino a che collaborarono nei
governi centristi. Oggi incominciano a volerlo fare. Perché non dovremmo incoraggiarli a farlo veramente?

Possiamo noi escludere che l’impegno per delle riforme profonde, sostanziali, li porti a essere più vicini, di fatto, ai comunisti che non ai democristiani e soprattutto all’ala conservatrice di questo partito? La profondità delle riforme e quindi la velocità stessa del movimento, non dipenderà da loro soltanto; dipenderà anche prevalentemente da noi, cioè dalla ampiezza, profondità e slancio che il movimento operaio riuscirà ad avere e a mantenere.

Dipenderà dal fatto che, per l’azione di un partito rivoluzionario, com’è il nostro, non si perda mai, nelle masse lavoratrici, la coscienza del legame tra le riforme parziali e gli obiettivi più profondi del movimento operaio e socialista, e questi non vengano mai né cancellati né offuscati. La qualità stessa del partito, il suo carattere di massa e i suoi orientamenti ideali e pratici acquistano, in questo sviluppo, importanza decisiva.

Quello che farebbe comodo ai democristiani sarebbe un partito comunista che combattesse il riformismo con pure contrapposizioni verbali, con vuote invettive e con quelle cosiddette alternative globali che di rivoluzionario hanno l’aspetto e il suono, ma nulla più.

Nello stesso scritto di Lenin [ci offre] un ammonimento prezioso.

Comunismo e riformismo: le riflessioni di Palmiro Togliatti

Per il rivoluzionario del giorno d’oggi il pericolo pii grande, forse il solo pericolo è di esagerare il rivoluzionarismo, la dimenticanza dei limiti e delle condizioni di una applicazione opportuna ed efficace dei mezzi rivoluzionari.

È qui che i veri rivoluzionari si sono più spesso rotto l’osso del collo, quando incominciarono a scrivere “rivoluzione” con la maiuscola, a fare della “rivoluzione” una cosa quasi divina, a perdere la testa, a smarrire la capacità di riflettere col massimo sangue freddo e a mente chiara, di pesare, di verificare in quale momento, in quale circostanza, in quale campo di azione si deve saper agire in modo rivoluzionario e in quali circostanze e in quale campo di azione si deve saper passare a una azione riformistica.

Anche sul terreno riformistico bisogna saper scendere e sapersi muovere, in modo tale che non arresti, ma spinga avanti tutto il movimento.

 

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parole ribelli, menti libere

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