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sabato, Luglio 12, 2025
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L’interista esistenzialista: Inzaghi incarta Gasperini, Lukaku domina

Alla formazione di Inzaghi bastava un punto per blindare la qualificazione europea e ne trova tre, Gasperini invece avrebbe voluto una vittoria ma cede anche più di quanto il risultato possa far credere, senza aver dato mai la sensazione di poter impensierire realmente i nerazzurri.

Inzaghi incarta Gasperini, Lukaku domina

L’Inter per raccogliere quel punto che assicura la partecipazione alla prossima edizione di Champions League, l’Atalanta per continuare a crederci. Erano solo questi i motivi che autorizzavano a pensare che Inter-Atalanta sarebbe stato un match vero.

A dirla tutta, da parte dei padroni di casa c’era anche la motivazione, mica da poco, di segnare la dead line al proprio campionato e non pensare più alle questioni di classifica. Di conseguenza, potersi tuffare, con una dozzina di giorni in anticipo, nella preparazione della finale di Champions League. Mica cotiche potersi permettere il lusso, nella prossima giornata, di schierare la squadra allievi a Torino contro i granata.

Ammesso che questo sia nei percorsi mentali di Inzaghi, che come tutti gli allenatori vincenti non è mai troppo propenso a regalare punti. Lecito quindi pensare che quella che si vedrà a nel capoluogo piemontese sarà un team caratterizzato da un sostanzioso turnover, piuttosto che una formazione sperimentale, nella considerazione che le gare ufficiali permettono di tenere alta la soglia di concentrazione degli atleti. Un clima da fine anno scolastico potrebbe non giovare all’ambiente, già di suo molto umorale.

Quel clima di certo non si è avvertito nel derby tra nerazzurri, con l’Inter schizzata via dai blocchi con scatto da centometrista. Bum, bum, in tre minuti finito tutto, sentito niente, proprio come con la Pic Indolor. Tutto in verticale, Acerbi che mette tra i piedi di Lukaku, quello che scambia con Lautaro che poi, per promuovere l’iniziativa, lo lancia nella prateria centrale, scarta facile Sportiello e deposita in rete.

Segnatevi il numero 19 dell’Atalanta: nell’azione di quel gol è a centrocampo, attaccato alle spalle di Lukaku. Lo sta tamponando nell’intento di non fargli controllare la palla o, peggio, girarsi e puntare a rete. Ecco, nel fotogramma successivo è quello che sta correndo dieci metri dietro il belga lanciato a rete: sta indicando la palla, non si sa bene a chi, non si sa bene perché.

Quello dei gol nei primissimi minuti di gioco comincia ad essere una piacevole consuetudine per l’Inter. Non è solo materiale per grigie statistiche, ma la cartina al tornasole di una preparazione mentale ottimale: la squadra scende già carica e pronta allo sgobbo, a differenza di qualche mese fa, quando prima di entrare in partita ci si poteva mettere anche un intero tempo.

Ma torniamo al 19 atalantino di poc’anzi. E’ presente anche nell’azione del gol del due a zero, stavolta sulla trequarti, quando di nuovo si incolla, speranzoso, alle spalle del gigante che ha appena ricevuto palla da Darmian. Di nuovo spinge, rintuzza, si abbranca, fa muro. Niente, quell’altro non se ne accorge nemmeno e smista velocemente su Lautaro, con l’Atalanta intera di nuovo a correre a ritroso. L’argentino serve Dimarco che ci prova uno, due volte, trovando sempre Sportiello pronto a respingere, poi la palla finisce sui piedi di Nicolino che spacca la porta. Per la cronaca, quel numero 19 è Djimsiti, il ventre mollo della difesa bergamasca.

Mettersi davanti di due gol dopo solo tre minuti non è tutto rose e fiori, va detto. Un po’ la tentazione di tirare i remi in barca ti viene, è umana debolezza. Sai com’è, si è alla sessantesima partita della stagione, l’ottava del mese. Se si può evitare un altro carico di acido lattico, perché non farlo? Sono però sogni. E sono sogni su cui non puoi indugiare più di tanto perché poi il ritorno alla realtà rivelarsi traumatico alquanto.

E infatti, mentre l’Inter accarezzava quell’idea, l’Atalanta ha approfittato di quella leggerezza, accorciando con un’azione da calcio d’angolo dove Hojlund a sole spallate ha creato lo spazio giusto per Pasalic che, un po’ calciando il pallone, un po’ scalciando Danilo D’ambrosio, ha dimezzato le distanze.

E’ nordico, è biondo, è furbo, è Hojlund: Le analogie con Haaland si fermano a questo. Qualcuno alla vigilia pretendeva che averlo contro poteva essere un buon allenamento propedeutico al trattamento di quell’altro nordico, più noto e prossimo avversario. Ebbene, la questione, per decenza, si fermi qui.

Brutta storia il dover andare al riposo con l’idea di riprendere a farsi il mazzo dopo un inizio così sfolgorante. La buona notizia è che pure l’Atalanta ha il suo bel carico di partite sul groppone. Certo, non tante come quelle di chi gli sta di fronte, non avendo avuto l’incombenza della partecipazione a taluni tornei continentali. Ma d’altra parte, non ha certo potuto contare sugli avvicendamenti data la rosa numericamente limitata.

Di conseguenza, tra le due che a tre quarti della partita sta più sulle ginocchia, è proprio l’Atalanta. Ma non ditelo a Scalvini. Quel ragazzo è un demonio pluripolmonato, svetta in difesa, esce palla al piede, accompagna l’azione di disimpegno, va a supporto dei centrocampisti, si fa vedere in area pronto per la conclusione a rete, se il caso.

Si parla insistentemente di un interessamento del club Inter: sarà bene, che dall’interessamento si passi velocemente al tesseramento, prima che lo facciano altri.

L’Atalanta non è mai veramente sembrata in grado di riaprire l’incontro, l’Inter viceversa ha spesso dato l’impressione di aspettare il momento giusto per chiuderlo definitivamente. Torniamo a quel numero 19, a cui non sono bastati settantacinque minuti per capire che quel modo di marcare Lukaku non poteva funzionare.

Stavolta siamo a centrocampo, di nuovo non ha provato ad anticipare il belga, di nuovo si è limitato a spingerlo e cercare di tenerlo fermo. Come poteva finire? Che quello oltre al 19 calamita su di se pure l’attenzione dell’altro centrale atalantino, Toloj che così apre una voragine dietro di sé. In quella voragine ci si butta Brozovic che non dimentica il suo mestiere di assistman e regala incombenza e ulteriore gloria a Lautaro, di professione bomber. La cronaca ha ancora tempo per consegnare agli archivi il gol di Muriel, tanto bello quanto tardivo. Finisce 3-2, missione compiuta.

Malgrado il tour de force di maggio, la squadra mostra un’inaspettata freschezza atletica e mentale che si riverbera anche nei recuperi di certi giocatori. Lukaku su tutti, che finalmente ha nelle gambe benzina bastante non solo per un tempo, ma anche per una settantina di minuti ad alta frequenza.

Brozovic aveva da tempo ripreso l’ottimale forma fisica ma sembrava indietro per quanto riguardava quella delle idee e delle geometrie. Adesso che ha recuperato sia una l’una che l’altra, le sue performance sono migliorate in maniera esponenziale. Va da sé che il salto di qualità del croato passa anche attraverso quelle dei compagni che così, regalano più soluzioni e linee di passaggio al portatore di palla.

In questa direzione vanno le prestazioni di Calhanoglu che adesso sa sdoppiarsi senza ambiguità nel ruolo di rifinitore come in quello di incontrista. Ieri lo si è visto correre a ritroso dietro Lookman per andare infine a chiuderlo in calcio d’angolo. Barella è in una fase addirittura mistica, corre con raziocinio e rivede la porta come nei suoi tempi migliori. Lautaro è diventato freddissimo nelle conclusioni a rete senza però aver ceduto un solo passo alla fase di primo contenimento.

Dietro, Bastoni ha messo da parte i giri a vuoto tipici dei giovani atleti e sta fornendo una continuità di prestazioni da veterano. Acerbi regala solo conferme, Dumfries si sta evolvendo rapidamente nel trattamento della palla, fondamentale che al suo arrivo sembrava il gap più preoccupante. Dimarco avrebbe bisogno di tirare un po’ il fiato, sta finendo le sue partite con le mani sui fianchi, pur non avendo perso una sola briciola della sua efficacia.

I prossimi dieci giorni serviranno a farlo rifiatare e a mettergli nuovo carburante nel motore. Per la squadra intera, un paio di giorni di scarico serviranno come un libro di dizione a Giorgia Meloni. Non ci saranno partite infrasettimanali da preparare, l’incontro prossimo sarà distante sette giorni. Dopo di quello, si farà davvero sul serio.

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Filippo De Fazio
Filippo De Fazio
Meridionale ma anche settentrionale. Sono lettore incallito e compulsivo, grafomane della vecchia scuola, ex calciatore dagli esiti disastrosi.

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