Era semplicemente irragionevole pensare che il Milan avrebbe potuto ribaltare l’esito dell’andata e non per l’entità dello svantaggio, ma per il divario – tecnico e tattico – che si era evidenziato in quella gara.
Champions: Inter, si vola a Istanbul!
È stata una settimanaccia quella che è passata tra il derby d’andata vinto dall’Inter per zero a due a quello del ritorno, vinto anche quello, di misura.
Una settimanaccia non tanto per i tifosi interisti, che a conti fatti hanno potuto “scaricare” con l’intermezzo di campionato godendosi la vittoria sofferta ma netta contro il Sassuolo, ma quanto per i giornalisti che si occupano di sport.
Quelli, il match contro gli emiliani lo hanno visto e vissuto un po’ come un evento disturbatore, tipo un insetto ronzante che ti molesta l’orecchio e ti fa scappar via la concentrazione o come un noioso foruncolo sulla natica, che ti duole e non ti fa sedere comodo.
Avrebbero voluto volentieri che fosse tutta una vigilia, sette giorni fitti a impegnarsi a pompare a dismisura la possibilità che il Milan potesse realizzare una clamorosa “remuntada”. Si sono sprecati, quelli, a descrivere apocalittici scenari in cui un Milan arrembante avrebbe prodotto un vero e proprio tiro a segno verso il povero Onana, surclassando gli avversari con punteggi tennistici.
Lo stesso rientro dall’infortunio di Leao veniva letto come un vero e proprio “deus ex machina”, una sorta di terminator che avrebbe sgretolato e spazzato via come birilli da biliardo i poveri difensori interisti.
Il Leao “meglio e’ Pelè”, assurto improvvisamente al riassunto vivente delle “skills” di Cruijff, Van Basten, Platini e persino Lev Jaschin messi insieme, che pure una mano alla difesa bisogna darla. Cosa non si inventa per vendere giornali!
I piani d’attacco del Milan sono stati riversati in metri quadrati di cellulosa, rivelando segreti militari. Come avrebbe strabattuto l’Inter, con quali tipo di azioni, con quali tattiche, con le mirabolanti giocate di chissà chi.
Immaginate come possa aver vissuto questa vigilia il tifoso interista tipo, già impegnato in questi sette giorni a maledire la goffaggine di Gagliardini, “che con il tre a zero, col cacchio che ci riprendevano”: la sindrome da accerchiamento, il preludio ad una indegna resa seppelliti da grappoli di gol, la conseguente eliminazione dalla competizione ribaltati malgrado il tesoretto dei due gol di vantaggio. Questo era il clima apocalittico che hanno vissuto quei tifosi.
Le dichiarazioni degli addetti ai lavori, poi. Sacchi che reputava il gioco del Milan più adatto alla massima competizione europea, Ancelotti, che normalmente non si sbilancia mai, ad augurarsi di trovare il “suo” Milan in finale, Buffon che senza pudore ammette che ci godrebbe un mondo a vedere l’eliminazione dell’Inter.
Quel battage pubblicitario, che non ha in verità un colore o una fede ma e confezionato scientificamente perchè pure i giornalisti “tengono famiglia”, ha nel suo goffo tentativo di pompare una contesa che nei fatti non poteva esserci, ottenuto il risultato di indispettire la tifoseria nerazzurra. Ne capirò poco in fatto di editoria, ma ho il dubbio che certe scelte redazionali siano quanto meno discutibili se, per ingraziarti una certa fetta di pubblico, finisci per inimicartene un’altra.
Chi ha creduto a queste narrazioni è stato un ingenuo o ha fatto finta di crederci. Era semplicemente irragionevole pensare che il Milan avrebbe potuto ribaltare l’esito dell’andata e non per l’entità dello svantaggio, ma per il divario – tecnico e tattico – che si era evidenziato in quella gara. Infatti, come nelle tre precedenti disputate nell’anno solare 2023, il campo aveva chiaramente dimostrato che tra le due non poteva esserci confronto.
Tre partite, tre vittorie dell’Inter. Zero a tre, uno a zero, due a zero: sei gol fatti, zero subiti. Vittorie nette, durante le quali il Milan non aveva dato mai l’impressione di poter già pareggiare, figuriamoci vincere. Poteva realisticamente dare fuoco e speranza solo quell’ormai lontano 3-2 del settembre scorso, contro un’Inter profondamente diversa da quella attuale? Quella non già di ieri, ma di Aprile, quando la squadra ha cambiato passo e ha inanellato una serie di vittorie di alta caratura, con avversari molto più dotati del Milan. Il Monza è stato l’ultimo a prendersi la posta piena a San Siro, dopo quella sono caduti gli scalpi eccellenti di Lazio, Roma e Juve resi alla fine di partite stradominate.
Cosicchè, quello che si è potuto vedere nel match di ieri sera è la raffigurazione di quello che le due squadre avevano nelle loro disponibilità: tanta roba quella stoccata nel magazzino dell’Inter, poco e niente in quell’altro.
Già negli scontri dei primissimi minuti, malgrado la determinazione dei ragazzi del Milan, era evidente che sui palloni vaganti arrivassero sistematicamente per primi quelli dell’Inter.
I rossoneri sono rimasti in partita finchè è rimasta alta la loro voglia di rimettere in bilico il punteggio ma il massimo che sono riusciti a realizzare è stato uno sterile palleggio che dall’altra parte hanno benevolmente concesso, limitandosi ad occupare in larghezza il campo e ad oscurare le linee di passaggio tra centrocampo e attacco.
Viceversa, è stata proprio l’Inter nelle sue non sporadiche uscite ad arrivare agevolmente nei pressi dell’area milanista. Dagli e dagli un paio di occasioni il Milan se l’è pure riuscita a procacciare. La prima grazie a Tonali che si è liberato di Mkhitarian sulla fascia mancina, ha raggiunto il fondo e servito Brahim Diaz per una comoda conclusione a rete e a porta vuota. Dico “a porta vuota” perché Onana era altrove, presidiando il primo palo, come da contratto.
Lo spagnolo doveva avere la sola accortezza di indirizzare il pallone sull’altro palo, e mentre già si chiedeva in che modo avrebbe festeggiato il gol della speranza, ecco che il portiere si è materializzato sulla linea di porta, scivolando lungo di essa, manco fosse sullo slittino. Neanche il patema di deviarla chissà dove, quella palla. L’ha abbrancata con entrambe le mani, alla stregua di una qualsiasi vispa Teresa.
La seconda occasione è stata confezionata dall’attesissimo Leao che si è liberato probabilmente con un fallo di Darmian e ha puntato la porta, sbagliando il tiro e sfiorando il palo.
Ecco, in quel momento è finita la partita del Milan, che non ha più visto la porta fino al novantesimo. Raffreddato l’ardore, finita la poca benzina a disposizione, ha ceduto campo all’Inter che ha chiuso il primo tempo in attacco, alludendo a quello che sarebbe successo nel secondo tempo.
La partita è scivolata via in schermaglie di centrocampo da cui sono quasi sempre usciti vittoriosi un inesauribile Barella, che si è speso nelle fasi di contenimento come in quelle d’attacco senza però mai dimenticare di dare supporto a Darmian e Dumfries impegnati dal Pelè portoghese, un soverchiante Calhanoglu regista sempre pronto a cercare uomini tra le linee e ad un prezioso Mkhitarian abile a farsi trovare sempre libero per lo scarico facile finchè è stato costretto ad uscire a causa di un infortunio.
Al posto dell’armeno entrerà Brozovic che un po’ si occuperà di interferire nei passaggi del dirimpettaio Diaz e un po’ delle ricuciture dal basso come da copione e alla fine metterà agli archivi una grande partita anche lui. Qui si rischia di diventar noiosi, quindi saltando lo stilar pagelle, si metta sugli scudi un certo Acerbi, che non avesse l’età che ha, con queste prestazioni nella sede della società Inter pioverebbero valanghe di richieste d’ingaggio dai soliti nababbi del calcio. Impressionante la sua personalità, sembra che giochi in questa squadra da decenni. Non lo si vede mai in affanno, con l’esperienza o con le cattive ha annullato Giroud che contro l’Inter ormai non si girà più da tempo.
Ad un certo punto, si era già verso la fine del match lo si è visto arrembare fino ai trenta metri e poi – strafottente – provare il tiro dalla distanza. Certi tifosi interisti dovrebbero chiedergli scusa vita natural durante per quelle certe illazioni che hanno tessuto sulla sua etica.
Su Darmian sprecherei solo parole senza centrare il punto: qualsiasi cosa lo metti a fare, lui lo fa e lo fa bene. Da terzo difensivo, da quinto di centrocampo, da centrale difensivo d’emergenza, da ala di raccordo. Se una cosa non la sa fare, la imparerà in breve tempo e diventerà più bravo di chi gliel’ha insegnata. Mettetegli in mano una Gibson Les Paul e diventerà Carlos Santana.
Poi mi viene in mente la pulizia di Bastoni, le sue uscite a testa alta alla maniera di Ruud Krol, la caparbietà di Dumfries che non solo non soffre né Hernandez nè Leao, ma che li mette alla corda, lasciandoli litigare tra loro per chi toccava prenderlo. Di Dzeko non dico niente, lui è semplicemente il Professore, rischierei di beccarmi una nota.
E infine come non raccontare della Lu-La che fa morire le speranze milaniste al settantatreesimo, a quel punto già ridotte ad un fuoco fatuo. Il buon Romelu aveva palesato, nella vigilia, la sua voglia matta di essere della partita ma da buon soldatino aveva rimesso ogni decisione nelle mani di chi comanda e ha atteso da subordinato quale è, senza fare una piega.
Chiamato a fare il suo dovere, ha risposto “Comandi” ed è sceso in campo quando si era al 66esimo. Nove minuti dopo è già in area milanista a seminare il panico. Lo ha fatto tanto bene che ha attirato su di sè quattro di quelli, talmente preoccupati dal fatto che potesse spaccare la porta, da non vedere l’altro pezzo della Lu-La giusto un paio di metri più in là, a sinistra, solo soletto. Romelu invece lo ha visto benissimo, e vuoi che non lo servisse? L’argentino, che di semifinali ne capisce, ha esploso il sinistro facendo passare la palla tra Maignan e palo, lì, dove proprio non se lo aspettava.
Sembrerebbe “la fine”, ma in realtà quella era arrivata già da un po’, quel gol semplicemente è il colpo di grazia sull’agonia del Milan, tanto è vero che non succederà più niente nei venti minuti restanti, se non qualche ulteriore conclusione a rete di quelli che sono già in vantaggio.
Nelle dichiarazioni del post partita un affranto Pioli racconterà che la differenza nelle due gare l’hanno fatta quei dodici minuti della partita d’andata, contraffacendo dolosamente la realtà che il campo ha plasticamente evidenziato e dimostrandosi un ingeneroso. Perde, il tecnico, l’opportunità di riconoscere i meriti dell’avversario e di confermare quella sportività, morale e rettitudine etica che tutti gli riconoscono. Oggi, alla luce di quelle dichiarazioni, risultano malinconicamente mal riposti.
Peccato, c’è modo e modo di perdere, Pioli ha scelto il modo sbagliato. Un Inzaghi stravolto dalla fatica manco in campo ci fosse andato lui, ha elargito ringraziamenti come suo solito copione, stavolta dissimulando malamente un sorriso per una volta impossibile da mortificare. Cala la sera su San Siro, lo stadio si è già svuotato quando uno Zanetti invasato strappa il microfono al Cuchu per lasciarsi sfuggire che gli piacerebbe che l’altra finalista non fosse il Real Madrid perché “quella coppa sembra esser stata inventata per loro”: chissà chi è l’altra squadra…
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