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Il 5-0 subito in finale a Monaco è un’umiliazione storica, ma non cancella quanto fatto da Inzaghi: trofei, identità e miracoli con risorse minime. In Italia, però, la memoria è corta. Se fossi lui, me ne andrei. Perché senza fiducia e investimenti, non si vince.
Cinque schiaffi a Monaco. Ma l’errore è non difendere Inzaghi
Il 5-0 incassato dall’Inter nella finale di Champions League 2025 a Monaco è una ferita che brucia, un risultato umiliante che rischia di segnare la storia nerazzurra per i motivi sbagliati.
È una sconfitta devastante, senza scuse: l’Inter è crollata, sopraffatta dall’avversario, forse schiacciata dal peso dell’occasione, forse tradita da una serata in cui nulla ha funzionato. Ma il calcio italiano ha la memoria corta, e ridurre il percorso di una squadra a una singola debacle è un errore imperdonabile.
Arrivare in finale di Champions non è un colpo di fortuna, specialmente se ci arrivi due volte negli ultimi tre anni: è il culmine di un cammino fatto di vittorie contro avversari temibili, di serate epiche e di un’organizzazione che ha permesso all’Inter di sedersi al tavolo dei grandi d’Europa.
Dimenticare tutto questo per 90 minuti disastrosi è un’ingiustizia verso una squadra che ha fatto sognare milioni di tifosi. Simone Inzaghi, con il suo stile sobrio e la sua dedizione, ha preso un club in una situazione economica “allucinante” e lo ha riportato a competere ad altissimi livelli.
Ha vinto trofei, ha costruito una squadra solida, ha dato un’identità di gioco che pochi allenatori possono vantare. E lo ha fatto con risorse risicate: mentre il PSG a gennaio spendeva 70 milioni per Kvaratskhelia, l’Inter chiudeva l’acquisto, in prestito, di Zalewski per 600 mila euro, una differenza che racconta meglio di qualsiasi analisi il contesto in cui Inzaghi opera. Eppure, ha portato i nerazzurri a un passo dalla gloria europea, un traguardo che solo pochi anni fa sembrava un miraggio.
Ma la critica, in Italia, non sa essere giusta. Si parla di “due scudetti persi con la squadra più forte”, come se Inzaghi avesse avuto a disposizione un budget illimitato, come se non avesse dovuto fare i conti con cessioni dolorose e mercati low-cost. Altri allenatori, come Allegri o Conte, hanno spesso lavorato in contesti meno proibitivi, ma questo viene dimenticato.
La narrazione che dipinge Inzaghi come un perdente è una favoletta comoda, che ignora le difficoltà superate e i successi ottenuti. E poi ci sono i tifosi interisti, i più ingrati di tutti. I commenti post-Monaco, pieni di rabbia e senza memoria, sono la cosa più fastidiosa di questa sconfitta.
Nessun riconoscimento per il cammino, nessuna gratitudine per un allenatore che ha fatto miracoli con le briciole. Solo critiche feroci, come se una partita cancellasse anni di lavoro. Se fossi Inzaghi, me ne andrei. Senza un impegno preciso del club, senza mercati all’altezza degli obiettivi, che senso ha restare? Arrivi in fondo a tutte le competizioni, lotti contro colossi economici, ma se poi perdi tutto, il famoso “zero tituli”, nessuno ti riconosce il valore di ciò che hai fatto.
Tanto vale cercare una squadra che permetta di lavorare come si merita, non in Arabia Saudita dove il calcio è solo un business, ma in un progetto che dia a Inzaghi la possibilità di esprimere il suo talento senza vincoli assurdi. Che l’Inter prenda Fabregas, un tecnico promettente ma che avrà bisogno di tempo per costruire: alla prima sconfitta, gli stessi che oggi massacrano Inzaghi saranno pronti a crocifiggere anche lui, senza pietà.
Il 5-0 di Monaco è una pagina nera, ma non è il libro intero. Il lavoro di Inzaghi, i trofei vinti, la solidità costruita in anni di difficoltà economiche non possono essere cancellati da una notte storta. L’Inter ha una base solida: un allenatore capace, una squadra da ringiovanire, un progetto che, nonostante tutto, ha dimostrato di funzionare. Ma serve fiducia, da parte del club e dei tifosi.
Servono, lo ripeto, investimenti all’altezza degli obbiettivi. Non si può fare una stagione con due soli attaccanti. Per non parlare dei problemi a centrocampo. Senza una rosa all’altezza, anche un tecnico come Inzaghi potrebbe stancarsi di scrivere questa storia. La grandezza di una squadra si misura nel tempo, non in una partita. Ed avere un po’ di memoria e riconoscenza renderebbe l’ambiente meno tossico.
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