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Ucraina sotto assedio: escalation militare russa, segnali contraddittori e prospettive cupe

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Nella notte tra il 25 e il 26 maggio, la guerra in Ucraina ha registrato uno dei suoi momenti più drammatici e intensi dall’inizio del conflitto. L’esercito russo ha lanciato un attacco aereo su vasta scala, impiegando centinaia di droni – ben 250 solo sulla regione di Kiev – e decine di missili balistici, molti dei quali lanciati da bombardieri strategici e da unità navali nel Mar Nero. Le difese ucraine hanno risposto, ma il bilancio è pesante: almeno 12 morti e oltre sessanta feriti, con danni estesi alle infrastrutture civili e militari.

L’offensiva estiva di Mosca: Ucraina sotto assedio

Secondo fonti militari ucraine, si stanno registrando movimenti di truppe russe nelle regioni di confine di Kursk, segnale che prelude a un’ulteriore offensiva terrestre con l’obiettivo di consolidare i guadagni territoriali e impedire incursioni nelle regioni russe di Belgorod, Bryansk e Kursk. Le ultime 36 ore hanno visto cadere diversi centri abitati sotto controllo russo, confermando una dinamica offensiva ben pianificata.

Oltre agli attacchi su infrastrutture militari come i sistemi Patriot o centri per la guerra elettronica, è stata colpita anche una nave portacontainer nel porto di Odessa, presumibilmente carica di forniture militari per Kiev. Le forze ucraine hanno tentato una controffensiva simmetrica, lanciando a loro volta droni verso Mosca, che ha risposto, senza conseguenze evidenti.

Il “cessate il fuoco” fantasma

In apparente contraddizione con questa escalation, fonti del governo russo hanno lasciato trapelare l’esistenza di una bozza di memorandum contenente le condizioni di Mosca per un cessate il fuoco. Il documento, mantenuto in totale segretezza, è stato definito dal vicepresidente del Senato russo come parte di un “processo negoziale difficilissimo e delicatissimo”. Si tratta, con ogni evidenza, di una mossa tattica parallela all’intensificarsi delle operazioni militari, forse per ottenere concessioni future da una posizione di forza.

Gli scenari di JP Morgan

Il Centro per il Rischio Geopolitico della banca d’investimento JP Morgan ha recentemente pubblicato un’analisi che delinea quattro scenari possibili per l’Ucraina nei prossimi mesi. Le previsioni non lasciano molto spazio all’ottimismo:

  1. Ucraina stabile ma dimezzata (15%): senza NATO né territori riconquistati, ma con garanzie di sicurezza occidentali e risorse per la ricostruzione, l’Ucraina potrebbe divenire una democrazia stabile sul lungo periodo.
  2. Fortezza ucraina (20%): con supporto militare ed economico ma senza truppe straniere, Kiev potrebbe difendersi ma resterebbe sotto costante minaccia.
  3. Declino e reintegrazione russa (50%): senza adeguato sostegno militare, l’Ucraina perderebbe slancio, tornando gradualmente nell’orbita russa.
  4. Capitolazione ucraina (15%): se Washington dovesse voltare le spalle a Kiev, Mosca potrebbe imporre una resa totale, frammentando l’Occidente.

Il rischio di collasso militare

A complicare ulteriormente il quadro, l’analista militare Daniel L. Davis ha segnalato che la guerra non è affatto in stallo, come alcuni media occidentali suggeriscono. Al contrario, le forze russe avrebbero conquistato quasi 3.000 km² di territorio ucraino negli ultimi sedici mesi. Le linee difensive di Kiev sono sottoposte a pressioni enormi, mentre il morale delle truppe vacilla. Emblematico il caso del comandante della 47ª Brigata Meccanizzata d’élite, dimessosi per protestare contro la gestione inadeguata delle operazioni da parte dei vertici militari ucraini.

L’analisi è impietosa: “Nessuno può continuare a subire queste perdite e combattere come un robot per sempre”. Conclude Davis, ammonendo che il rischio di collasso è concreto e imminente.

Il nodo degli aiuti occidentali

Altro elemento critico è la fine imminente del pacchetto di aiuti da 61 miliardi di dollari approvato dagli Stati Uniti. Una volta esaurite queste risorse, difficilmente Washington riuscirà a fornire nuovi fondi, almeno in tempi rapidi e compatibilmente con l’agenda politica interna. L’Europa, da sola, non è in grado di colmare il vuoto. Questo squilibrio nei rifornimenti potrebbe rivelarsi decisivo nei prossimi mesi.

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