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Trump e Putin parlano per due ore di pace in Ucraina: si ipotizza un memorandum e un cessate il fuoco. Ma Kiev e UE sono solo informati, non coinvolti. Spunta anche il Papa come possibile mediatore. Spiraglio o protagonismo elettorale del tycoon?
Telefonata Trump-Putin: tra ambiguità, protagonismo e spiragli di pace
Due ore di conversazione tra Donald Trump e Vladimir Putin, ufficialmente per parlare di pace in Ucraina. Una telefonata che, se da un lato rievoca la grandeur diplomatica del tycoon statunitense, dall’altro solleva interrogativi profondi sul metodo, le finalità e la reale portata di un dialogo a due in un conflitto che coinvolge l’intero equilibrio geopolitico europeo.
Trump, nella sua consueta enfasi mediatica, ha definito “molto positiva” la telefonata, preannunciando addirittura l’avvio imminente di negoziati tra Russia e Ucraina per un cessate il fuoco e per un possibile trattato di pace.
Dichiarazioni che lasciano perplessi, se si considera che né Kiev né le capitali europee sono state coinvolte in modo sostanziale nel presunto riavvio dei colloqui: sono stati “informati” a posteriori il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron, Giorgia Meloni, il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il finlandese Alexander Stubb.
Possibile compromesso?
L’elemento forse più sorprendente del colloquio è l’uso del termine “compromesso” da parte del Cremlino: per la prima volta, Mosca ammette che la risoluzione del conflitto dovrà passare anche attraverso concessioni russe, oltre a quelle ucraine. Un cambio di tono che non va sottovalutato, anche se lo stesso Putin ha sottolineato che non è previsto al momento un cessate il fuoco immediato.
Tuttavia, ha aperto alla possibilità di elaborare un “memorandum” per un trattato di pace, includendo – solo se le condizioni saranno soddisfatte – anche un temporaneo cessate il fuoco.
Questo “spiraglio” diplomatico si accompagna però a forti ambiguità. Innanzitutto, il fatto che la trattativa sia riproposta come una dinamica bilaterale Russia–USA, escludendo di fatto tanto l’Ucraina quanto l’Unione Europea.
Un ritorno a una logica da Guerra Fredda, che riduce la complessità di un conflitto che ha radici profonde: dall’invasione russa del 2022 alla guerra del Donbass, dall’allargamento della NATO al ruolo controverso degli Stati Uniti nei moti di Maidan e nell’assetto post-sovietico della regione.
Il vaticano disponibile a fare da arbitro?
A questo quadro si aggiunge l’inattesa evocazione del Papa, da parte di Trump, come potenziale ospite delle trattative. Un riferimento forse strategico, volto a garantire legittimità e neutralità al processo negoziale, che si collega a una recente dichiarazione vaticana sulla necessità di un dialogo per la pace. Leone XIV avrebbe già manifestato apertura ad accogliere le parti in Vaticano, in una cornice “terza” rispetto alle pressioni e agli interessi in campo.
Non tutti, però, sembrano credere allo spiraglio. La Germania, ad esempio, ha fatto sapere di voler incrementare la pressione su Mosca con nuove sanzioni, mostrando un netto scetticismo rispetto all’apertura russa.
Anche molti osservatori in Europa leggono la mossa di Trump come un esercizio di protagonismo personale, nella perenne campagna elettorale del tycoon, impegnato nella costruzione di un trumpismo permanente, anche quando nons arà più lui a dirigere la macchina.
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