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Stato di paura: il ddl Sicurezza è Legge. Un abominio giuridico e securitario

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Il ddl Sicurezza è legge: manganello e carcere per chi protesta, nuove aggravanti penali, stretta sui diritti in carcere, più potere alle forze dell’ordine. Ignorate proteste e appelli: lo Stato di diritto cede il passo allo Stato di paura.

Il ddl Sicurezza è Legge: una deriva autoritaria travestita da ordine pubblico

Il decreto Sicurezza, divenuto legge con il voto di fiducia del Senato, rappresenta uno dei provvedimenti più autoritari della storia repubblicana recente. Dietro la retorica del “ripristino dell’ordine”, il governo Meloni istituzionalizza la repressione e restringe drammaticamente le libertà civili.

L’approvazione, avvenuta in tempi record e senza reali confronti parlamentari – ignorati ben 131 emendamenti – è la cartina tornasole di un’esecutività sorda, impermeabile al dissenso, ostile al confronto.

Il contenuto del provvedimento parla chiaro: nuove fattispecie di reato, aggravanti penali per manifestanti, maggiore discrezionalità per le forze dell’ordine, estensione dei poteri repressivi e criminalizzazione della protesta pacifica.

Un colpo inferto non solo ai movimenti sociali e ai cittadini attivi, ma ai principi fondanti della democrazia costituzionale.

La repressione del dissenso

La misura più grave riguarda la trasformazione di azioni di disobbedienza civile – come i blocchi stradali – da illeciti amministrativi a reati penali. Chi si oppone simbolicamente a infrastrutture energetiche o blocca una strada per manifestare rischia fino a due anni di carcere.

La legge introduce aggravanti specifiche per chi protesta contro opere pubbliche, con l’esplicito intento di colpire i movimenti ambientalisti e i comitati territoriali.

Nuove aggravanti puniscono il danneggiamento di beni pubblici “per ledere il decoro dell’istituzione”: una formula ambigua e potenzialmente liberticida. Le occupazioni abusive di immobili diventano reato con pene fino a 7 anni, mentre il cosiddetto “daspo urbano” si estende anche a chi è solo denunciato. È la presunzione, non la colpa accertata, a costituire base per l’esclusione sociale.

Carcere come strumento politico

Il decreto tocca anche il mondo penitenziario, trasformando la rivolta carceraria in reato penale: chi protesta passivamente in tre o più rischia da 1 a 5 anni. Se nella rivolta si verificano danni o lesioni, le pene aumentano fino a 20 anni. Nei CPR, i centri per il rimpatrio, viene introdotta la medesima logica repressiva: partecipare a una protesta collettiva può costare anni di carcere.

Anche le donne incinte o madri di neonati dovranno scontare la pena, senza possibilità alternative, se ritenute “a rischio di recidiva”. I bambini, quindi, resteranno in carcere con le loro madri, in aperta violazione delle raccomandazioni internazionali sui diritti dell’infanzia.

Tutela armata dello Stato

Le forze dell’ordine godranno di nuove tutele: lesioni a un agente saranno punite con pene severe, fino a 16 anni. Vengono stanziati oltre 23 milioni di euro per dotare poliziotti e carabinieri di bodycam, mentre lo Stato coprirà fino a 10mila euro di spese legali per agenti indagati o imputati per atti compiuti in servizio. Introdotto anche il diritto al porto d’armi personale per agenti fuori servizio, senza licenza.

Revoca della cittadinanza e sorveglianza

Un altro aspetto inquietante è la revoca della cittadinanza italiana per chi sia condannato per reati di terrorismo o eversione. Si tratta di una norma discriminatoria e pericolosa, che crea cittadini di serie B. Si rafforzano anche i controlli preventivi: i negozianti che vendono SIM senza identificare il cliente rischiano la chiusura del locale fino a 30 giorni.

Una legge contestata da piazze e istituzioni

Contro la legge si sono mobilitate 150mila persone il 31 maggio a Roma. “Alziamo la testa contro lo Stato di paura”, recitava lo striscione di apertura. Alle critiche dell’opposizione si sono aggiunte quelle di Amnesty International, Libera, Avviso Pubblico, oltre 200 costituzionalisti, l’Associazione Nazionale Magistrati e perfino l’ONU, che ha definito il testo “incompatibile con il diritto internazionale dei diritti umani”.

Ottanta ONG hanno scritto alla Commissione europea per chiedere di intervenire. La risposta del governo è stata il silenzio.

Verso uno Stato punitivo

Questa legge certifica una mutazione profonda: lo Stato che si legittima non più come garante di diritti, ma come apparato punitivo.

Il Parlamento, ridotto a notaio delle decisioni governative, ha legalizzato l’abuso.

Il cittadino che protesta diventa un criminale. Il dissenso non è più tollerato: è perseguito.
Un passo deciso verso l’autoritarismo, nel silenzio delle istituzioni europee.

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Alexandro Sabetti
Alexandro Sabetti
Vice direttore di Kulturjam.it -> Ha scritto testi teatrali e collaborato con la RAI e diverse testate giornalistiche tra le quali Limes. Ha pubblicato "Il Soffione Boracifero" (2010), "Sofisticate Banalità" (Tempesta Editore, 2012), "Le Malebolge" (Tempesta Editore, 2014), "Cartoline da Salò" (RockShock Edizioni)

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