Alla kermesse pentastellata dei giorni passati, oscurata dalla forzatura mediatica del caso “passamontagna” Beppe Grillo ha toccato un tema di grande rilevanza: la disoccupazione di massa che si profila con il passaggio compiuto all’era digitale e alla intelligenza artificiale.
Se Beppe Grillo legge Marx
Di Fausto Anderlini*
L’Italia è un paese talmente sbrodolato, così linguisticamente e antropologicamente impoverito che persino un pensierino salveminiano di buona educazione civica può risultare eversivo se solo si mette un passamontagna.
Spaventare gli idioti si può, è giusto, possibile, necessario e soprattutto si può fare con minimo sforzo e al netto di ogni spargimento di sangue. Intanto il Pd schleineiano potrebbe profittare dell’occasione offerta da Beppe Grillo per metterne alla porta un tot che ivi albergano. Augurabilmente con modi ruvidi anche se sgauarniti di passamontagna.
Ho seguito attentamente la nutrita kermesse del M5S. Per quel che passa il convento dei partiti un evento di massa di consistenza invidiabile. E ho ascoltato nel dettaglio il discorso dell’elevato. Un discorso invero meritevole di riflessione, una volta mondato delle stilettate rivolte a Conte (peraltro cadute nella più totale indifferenza dell’uditorio, che è parso decisamente schierato col suo leader…).
Grillo ha infatti toccato un tema di grande rilevanza: la disoccupazione di massa che si profila con il passaggio compiuto all’era digitale e alla intelligenza artificiale. Una situazione nella quale pensare a una difesa del ‘lavoro’, dell’occupazione, e della stessa onorevole ‘emancipazione’ del lavoro salariato rischia di essere una fatua speranza, se non una utopia regressiva. Mentre è piuttosto il caso di cominciare a pensare a un reddito universale di cittadinanza. Non più e solo una misura pauperistica, ma un modo rivoluzionario di redistribuzione della ricchezza sociale.
Ci sono alcune paginette dei Grundrissse di Marx (Vol. II, La nuova Italia, pagg. 398-409, Capitale fisso e circolante, vero scrigno di fulminanti intuizioni e di profezie solo in parte sistematizzate nel ‘Capitale’) dove si parla di una situazione nella quale lo sviluppo dispiegato della scienza applicata alla produzione, come ‘prima forza produttiva sociale’ rende il lavoro vivo ‘misera cosa’ rispetto alla ricchezza prodotta, sicchè esso cessa come ‘misura del valore’.
Si crea così una contraddizione fra “la base della produzione borghese (misura del valore) e il suo sviluppo stesso”. “Il pluslavoro della massa ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza generale, così come il non lavoro dei pochi ha cessato di essere la condizione dello sviluppo delle forze generali della mente umana, con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla.…” (pag 401).
In effetti lì siamo arrivati, e da tempo: a uno sviluppo delle forze produttive tale che il lavoro, dunque il pluslavoro non pagato, cioè il profitto capitalistico come appropriazione del surplus, ovvero, in sintesi, il ‘rapporto di produzione borghese’ non può più contenerlo.
Se non a prezzo di una aberrante e violenta sperequazione: disoccupazione di massa, sotto-lavoro, sotto-salario come valvole di sfogo, distruzione dell’ambiente, il primo decile di una residua popolazione di magnati che si tiene per sè il 90 % della ricchezza, la guerra e l’apparato militare-industriale come meccanismo di de-valorizzazione e antidoto al sotto-consumo e alla sovra-produzione, la percolazione di una parte residua del sovrappiù come elemosina consensuale, mentre si provvede in ogni modo a escogitare pretesti per espropriare la gente (piccola classe media) del patrimonio diffuso tesoreggiato col salario intergenerazionale.
È bastato qui da noi una flebile misura come il ‘reddito di cittadinanza’ per scatenare una inusitata campagna ostile dei monopolisti con lo scopo di legare ideologicamente a sè un lavoro autonomo diffuso (nei servizi alla persona) il cui sotto-profitto si deve al sottosalario precario dei dipendenti. Mettendo in crisi il miserabile sistema-panacea dei ‘lavoretti’ e della sotto-occupazione.
Una contraddizione plateale: il supersfruttamento di quote residue di lavoro vivo come condizione di equilibrio sociale. L’arretratezza tenuta in vita al margine per garantire consenso a un sistema sociale già superato dallo sviluppo delle forze produttive intellettive.
Se questo è vero, sganciare quote crescenti del reddito dall’obbligo del lavoro ‘comandato’, cioè coatto, è un pezzo di programma al quale pensare. Restituire alla società la ricchezza sociale, redistribuire il tempo del lavoro non più come tale ma come attività umana.
Introdurre elementi di comunismo come antidoto alla barbarie, guardare la luna non il dito che la indica. Da chè il marxismo è stato messo in soffitta (peggio: addirittura demonizzato) dalla sinistra imborghesita e neuro-atlantica ci voleva un comico (e un bizzarro movimento di smandrappati) per trarlo dalla naftalina. I 5S sono a tutt’oggi l’unico (grande) partito che (consciamente o meno) si riconnette al grande trevirese.
* Grazie a Fausto Anderlini
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