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L’attacco a BSW e a Sahra Wagenknecht è una strategia per delegittimare una sinistra scomoda, che sfida l’ordine economico e geopolitico. Critica austerità, UE e NATO, sostiene la causa palestinese e punta sui lavoratori. Bollata come “rossobruna”, mentre la sinistra addomesticata vince.
Sahra Wagenknecht nel mirino
– Marcella Mauthe
L’esclusione di BSW, il partito di Sahra Wagenknecht, dal parlamento tedesco ha scatenato reazioni contrastanti. Se da un lato i suoi sostenitori vedono in questa sconfitta un duro colpo per la rappresentanza delle classi popolari, dall’altro, molti nell’area progressista hanno accolto la notizia con soddisfazione.
Questa ostilità ideologica e il suprematismo morale con cui il partito della Wagenknecht è stato trattato rivelano una dinamica politica più ampia, in cui ogni deviazione dall’ortodossia liberale-progressista viene bollata come estremismo.
BSW ha il merito – o la “colpa” per i suoi detrattori – di riportare la sinistra tra le classi lavoratrici, dai precari ai disoccupati, fino ai piccoli imprenditori messi in difficoltà dalle politiche economiche europee.
La sua azione politica si concentra sulle condizioni materiali di vita di questi gruppi, cercando di sottrarli alla retorica nazionalista di Alternative für Deutschland. Questo approccio, incentrato su una critica serrata all’austerità e alla deregolamentazione del mercato del lavoro, rompe con una sinistra che si è progressivamente distaccata dalle questioni economiche per abbracciare esclusivamente le battaglie sui diritti civili.
Il partito di Wagenknecht denuncia apertamente la competizione sleale generata dall’allargamento dell’Unione Europea del 2004 a dieci Stati con welfare debole e salari estremamente bassi.
Sottolinea inoltre l’importanza di regolamentare i flussi migratori in base alla reale capacità di integrazione economica e culturale, evitando che il costo di un’immigrazione incontrollata ricada sulle periferie sociali.
Questa posizione, lungi dall’essere una deriva rossobruna, ricalca politiche già adottate da leader democratici come Kamala Harris o il britannico Keir Starmer, eppure solo BSW viene stigmatizzato con accuse di xenofobia.
Il vero motivo dell’ostracismo
La demonizzazione di BSW e di Sahra Wagenknecht non nasce dalla sua posizione sull’immigrazione. Il vero nodo dello scontro è la politica estera. Wagenknecht ha osato sfidare la linea dominante sulla guerra in Ucraina, opponendosi all’allineamento acritico della Germania alla NATO e agli Stati Uniti.
Ha affermato con realismo che l’interesse tedesco ed europeo non è un’escalation bellica contro la Russia, bensì il ritorno a una politica di cooperazione economica tra Est e Ovest, con un ruolo centrale del continente come ponte tra le grandi potenze.
A tutto questo si aggiunge il sostegno netto e costante di BSW alla causa palestinese, un tema che rappresenta un ulteriore elemento di rottura rispetto all’agenda del mainstream politico e mediatico tedesco.
Una sinistra addomesticata contro una sinistra scomoda
L’etichetta di “rossobruno” affibbiata a BSW si inserisce in una strategia più ampia di delegittimazione delle forze che sfidano l’ordine economico e geopolitico dominante. La sinistra progressista, ormai sempre più distante dai ceti popolari, reagisce con ostilità a chiunque tenti di riportare al centro del dibattito i temi della giustizia sociale e dell’equità economica.
Wagenknecht ha denunciato il fatto che la sinistra non sia più percepita come la forza politica della giustizia sociale, ma come il baluardo di un’agenda post-umanista incentrata su temi come la maternità surrogata, green e arcobaleni vari. Si tratta di una constatazione basata sui dati elettorali, che mostrano un progressivo allontanamento dei lavoratori e delle classi popolari dalla sinistra tradizionale.
Mentre BSW viene ostracizzato e diffamato, la Linke – la sinistra ufficiale – si mantiene all’interno dei confini di un’opposizione innocua e funzionale all’attuale assetto di potere. Così, mentre Wagenknecht perde, vince la sinistra addomesticata, quella che non disturba né il governo tedesco né l’establishment europeo.
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