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Renzi e Calenda, i guastafeste della sinistra: professionisti dell’inutilità politica

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Renzi e Calenda non sono un’alternativa alla destra: ne sono il volto ripulito. Liberisti, atlantisti e antisociali, servono solo a sabotare ogni progetto di sinistra. Il “centro” è una finzione: l’alternativa si costruisce a sinistra, senza di loro.

Renzi e Calenda, i guastafeste della sinistra

C’è una nobile tradizione italiana, poco celebrata ma tenacemente resistente: quella dei sabotatori di sinistra. Non parliamo dei rivoluzionari in incognito o dei partigiani dell’ultima ora, ma di figure assai più raffinate nell’arte dell’ostacolo: Matteo Renzi e Carlo Calenda. Due nomi, un destino: impedire che qualsiasi progetto politico vagamente progressista riesca a vedere la luce.

La manifestazione romana di sabato e le recenti prese di posizione sul referendum hanno il merito di fare chiarezza. Sì, perché se qualcuno nutriva ancora il sospetto che i signori del centro liberale potessero essere parte di un’alternativa democratica alla destra, è forse tempo di prenotare una visita oculistica (e magari una seduta di psicoanalisi politica).

Renzi e Calenda — assieme ai più zelanti sostenitori del Pd versione “fanatico ragionevole” come Bonaccini, Picierno o Quartapelle — rappresentano un’ideale politico incompatibile con qualsiasi orizzonte di cambiamento. Per una ragione molto semplice: non vogliono cambiare nulla. La loro intera esistenza politica si basa sull’opporre veti, imporre “moderazione”, rassicurare mercati e ambasciate. In altre parole, sul garantire che nulla di realmente progressista accada mai.

Il mantra “si vince al centro” è la più grande bufala della politica italiana contemporanea. Un dogma ripetuto con aria grave nei talk show, ma smentito costantemente dai fatti. Il centro, semplicemente, non esiste. È un miraggio di potere, una comfort zone per borghesi impauriti e tecnocrati in cerca d’autore, un rifugio per chi detesta la destra ma odia ancora di più la sinistra popolare e conflittuale.

E mentre si proclamano moderati, i centristi di professione sposano ogni giorno tesi che di moderato hanno poco o nulla: sono liberisti quanto la Lega, atlantisti quanto Forza Italia, filoisraeliani quanto Fratelli d’Italia, e ogni giorno più insofferenti ai lavoratori di qualsiasi settore. Il loro compito è chiaro: mimare l’opposizione alla destra, mentre ne condividono tranquillamente la sostanza su economia e politica estera.

Renzi e Calenda, insomma, non sono l’alternativa alla destra. Sono la destra in doppiopetto, il piano B del capitale, la versione colta e in giacca stirata della reazione. Il loro ruolo storico? Impedire la nascita di una sinistra vera, sociale, popolare. E se per farlo devono entrare e uscire da partiti, creare micro-movimenti, scindersi, riunirsi e poi dividersi ancora, lo faranno con l’entusiasmo di chi ha scelto di essere utile solo nel sabotaggio.

È chiaro allora che il problema non è solo liberarci di loro. Il Pd, nel suo complesso, resta un partito ideologicamente inaffidabile e sempre pronto a barattare ogni spinta progressista in nome di un’illusoria compatibilità con il “centro”. E più Renzi e Calenda diventano marginali nella realtà, più diventano centrali come alibi: per frenare, per mediare al ribasso, per dire “non possiamo fare troppo altrimenti se ne vanno”.

La verità è che l’alternativa alla destra non si costruisce con la destra camuffata da “centro”. Si costruisce con le forze del lavoro, con i diritti sociali, con chi è stato escluso e impoverito. Si costruisce — udite udite — a sinistra.

E questo, per Renzi e Calenda, è l’unico vero pericolo. Perché una sinistra che smette di temerli e comincia semplicemente a ignorarli, è una sinistra che potrebbe tornare a contare.

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Corsivista, umorista instabile.

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