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Il referendum sul lavoro riflette lo scontro tra neoliberisti e sociali nel centrosinistra. Il PD è diviso, la CGIL imbarazzata e l’impatto politico sul governo improbabile. Landini non emergerà come leader: il voto – per quanto importante e da non lasciare in balia dell’astensionismo – sarà simbolico, senza reali cambiamenti.
Referendum e referenze
– Fausto Anderlini*
Al referendum andrò a votare, naturalmente. Cinque sì. Cionondimeno non è possibile esulare da un discorso di verità, senza per questo passare per disfattisti. Per che cosa si tratta di votare è chiaro: il ripristino delle tutele nel mercato del lavoro. Contro chi, politicamente intendendo, assai meno. Non certo la destra al governo.
Tutti gli argomenti a quesito riguardano infatti leggi fatte dal PD (come il Jobs Act, terminale di una lunga sequela di misure precarizzanti che parte dal pacchetto Treu del ’97, vigente il primo governo Prodi) o non fatte durante le stagioni dei governi di centrosinistra.
In effetti si tratta di una questione interna al centrosinistra: uno scontro a strascico, cioè fuori tempo massimo, fra la componente “riformista” neoliberista e quella timidamente più “sociale”. Una resa dei conti elusa nel confronto congressuale fra i gruppi dirigenti e ora delegata all’elettorato, con abissale ritardo e con tutti i buoi usciti dalla stalla. Un sasso nello stagno.
Il PD è diviso e paralizzato, come su tutto, dalla politica internazionale, al punto di trovarsi scavalcato a sinistra dalla destra (paradosso estremo) su quella sociale, ambito nel quale la tutela del lavoro dipendente occupa ormai uno spazio minimo (altro paradosso estremo). Bonaccini & company hanno ragione a rivendicare la continuità di una politica. Del resto il congresso di “partito” l’avevano vinto loro.
Resta che una ribellione così plateale ai deliberati del partito dovrebbe essere sanzionata, secondo logica, con un’espulsione su due piedi. Cosa che non avverrà. La stessa “sinistra” incarnata da Schlein, Orlando e Bersani, ora accomunata nella battaglia referendaria, non ha le carte in regola. A suo tempo aderì al Jobs Act di Renzi, per dolo o timidezza. Solo Cuperlo si differenziò all’atto del voto. Per presentarsi agli elettori con minima decenza dovrebbe farlo col capo cosparso di cenere. Cosa difficile. Meglio confidare sulla dimenticanza.
Ma anche la CGIL non è scevra di imbarazzo. All’epoca, sotto la guida della Camusso, salvo una manifestazione a Roma priva di alcun seguito, si guardò bene dal mettere in campo un’impedenza simile a quella agita da Cofferati contro il governo Berlusconi, preferendo farsi bastonare dal PD renziano con stoica perseveranza. Sicché si trova a fare adesso quel che non fece al momento necessario (oltre una decade fa!).
Rebus sic stantibus, trovo ridicolo aspettarsi da questo referendum effetti politici sul governo e riassestamenti di leadership a sinistra. Farneticano quelli che ipotizzano un’ascesa di Landini sulle macerie della smandrappata sinistra ove si realizzasse il miracolo del quorum. Non accadrà nulla, comunque vadano le cose. L’unica aspettativa è che dal mondo del lavoro si batta un colpo a suo favore.
* Dalle riflessioni social di Fausto Andrerlini
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