Il PD vince dentro un nuovo bipolarismo da cui sono fuori metà degli elettori. Risulta egemonico tra l’elettorato che si dichiara di sinistra e antifascista anche se non mette in discussione le politiche neoliberiste del passato e si identifica con l’uomo della troika, il riarmo, la finzione ecologica, la precarietà del lavoro e i bassi salari, le privatizzazioni e i tagli.
Un nuovo bipolarismo senza elettori
Ha vinto il governo Draghi. Questa è la prima cosa che ha dichiarato Enrico Letta. E quindi il segno del voto non è certo di sinistra.
Nelle città i candidati del PD non rappresentavano la rottura con l’immobiliarismo e le privatizzazioni dei servizi. ma la più sicura garanzia degli interessi forti congiunta con la capacità di interloquire sul piano valoriale con l’opinione pubblica progressista e democratica.
Il pericolo della destra fascistoide e l’amplificazione dei novax hanno funzionato per cementare un elettorato moderato e progressista intorno a chi nel governo appare rappresentare il senso di responsabilità e il buonsenso.
Bisognerà leggere dentro la composizione sociale e le ragioni del voto e del non voto. Il dato certo è che l’astensionismo è alto, il M5S si sgonfia ma la sinistra anticapitalista non intercetta nulla.
La nostra area non tocca palla. Nonostante il valore delle candidature in campo. Ringrazio le compagne e i compagni che si sono spesi come candidati sindaco e consiglieri. Davvero grazie a Paolo Berdini, Angelo d’Orsi, Gabriele Mariani, Dora Palumbo e a tutti gli altri.

Per la sinistra che sta all’opposizione del governo Draghi e alternativa ai poli esistenti il risultato è pessimo, in alcuni casi disastroso. Da anni insistiamo sulla necessità che vi sia un soggetto o almeno uno spazio unitario. Ci si risponde con scelte identitarie che non accettano neanche di fare coalizione intorno a una candidatura a sindaca/o e il risultato è una delegittimazione reciproca e una marginalizzazione dallo stesso confronto pubblico.
Dall’altro lato una parte della sinistra antiliberista e ambientalista sceglie di stare nell’alleanza col PD e M5S con risultati a volte significativi come a Bologna, in altre insoddisfacenti come a Milano. La loro linea, che non condividiamo, certo non viene messa in discussione dal presentare 5 candidature a sinistra del centrosinistra.
A Napoli si elegge ma non entra la nostra compagna Elena Coccia, a Torino c’è stata un’unità più larga (ovviamente anche là Rizzo e PCL non han voluto), e si è preso un 2,40%, a Milano è deludente il risultato di un’esperienza bella e vera come Milano in Comune, a Bologna divisi si perde l’occasione di eleggere.
Unico segnale positivo forte è stato quello dell’esperimento in Calabria dove intorno alla candidatura di Luigi De Magistris si è costruito uno schieramento unitario largo che ha riunito tutta la sinistra di opposizione al governo Draghi, cittadinanza attiva, associazionismo, movimenti. Il PC e il PCL non avevano la forza di presentarsi e quindi nessuno ha potuto parlare di frammentazione e dispersione.
Non mi pare interessante la competizione nella sinistra radicale e il conto che a Roma e Bologna Pap ci supera, mentre a Milano o Torino siamo sopra noi. Neanche i magri risultati delle liste supercomuniste. Il dato è che così frammentati non si costituisce un punto riferimento, si viene facilmente resi invisibili dai media, si crea passività nell’elettorato.
Non basta ovviamente soltanto l’unità ma è il minimo indispensabile. Siamo gli unici ad averla nel dna e a riproporla continuamente e non credo sia sbagliato.
Il problema più grosso però rimane quello di costruire una proposta che parli e coinvolga a livello di massa con un profilo capace di aprirsi uno spazio nel bipolarismo.
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