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La narrazione tossica che nasconde il mondo

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Peggio di avere una narrazione tossica, c’è solo che la classe dirigente cominci a credere alla sua stessa narrazione tossica.

Le nostre classi dirigenti in balia della loro narrazione tossica

Le classi dirigenti dell’odierno Occidente sono scadenti e in profonda crisi (divise).
Randall Collins fece notare che la classe dirigente può essere (o auto-percepirsi) moralmente superiore quanto vuole, ma se non sa gestire il potere militare o economico, la popolazione smette di seguirla.

Quando la classe dirigente perde una guerra o ha una gestione economica che crea povertà, sorgono malcontento e spaccature. In queste circostanze, aumenta l’evasione fiscale, le disparità, diminuisce la produzione e il crimine diventa più forte -> diminuisce ulteriormente il flusso di denaro verso il centro.

Le minori risorse e il maggior controllo del territorio riducono la possibilità di premiare chi è fedele, innescando un circolo vizioso.

A questo punto la classe dirigente si spacca (lo abbiamo visto negli USA, dove dopo decenni di continuità istituzionale, l’ascesa di Trump fu accolta come l’arrivo di Gengis Khan), perché inizia a proporre soluzioni diverse su come arginare la crisi.

Al classico conflitto economico (chiamatelo di classe se volete) si affiancano altri conflitti di carattere sociale (proteste in carcere, contro il fisco, conflitti razziali, ecc). Il Potere non è più in grado di emanare autorità (paura) o autorevolezza (merito).
Da qualcosa che persuade diventa qualcosa che impone.

Il sorgere di diverse fazioni non fa che confermare questa percezione di impotenza.
L’Occidente moderno è caratterizzato dal culto quasi idolatrico per “il discorso”. La nostra società basa buona parte della sua autorevolezza sulle parole.

Se ci pensate, buona parte delle riflessioni (e autocritiche) del PD (il partito che esprime da anni le istituzioni in Italia) ruotano attorno a discorsi, parole, non ai risultati (infatti scadenti). Intere campagne elettorali che ruotano attorno a parole, etichette, definizioni, non attorno a fatti.

Questo approccio, finché usato per giustificare dominio, controllo, adesione conformistica può avere un senso (manipolatorio, ma non irrazionale). Diventa drammatico quando politici e giornalisti cominciano a credere che questa sia la realtà.

La nostra classe dirigente programma uno scontro pensando che potremo vincere a parole e che le sanzioni fermeranno un nemico immaginario.

L’opinione pubblica pensa che non siamo in guerra – nonostante di fatto lo siamo – perché non lo dice la TV. Sul senso di realtà del pubblico RAI, Mediaset, La7 hanno un impatto maggiore del Papa (dice continuamente che stiamo vivendo la III Guerra Mondiale).

Ci convinciamo che i BRICS siano quattro straccioni e non capiamo che stanno sostituendo i paesi europei nella graduatoria del PIL mondiale.

Facciamo programmi in base alle ubriacature ideologiche di un’élite gerontocratica di miliardari circondati da persone che li assecondano non potendoli contraddire (dato lo squilibrio di potere e reddito).

Così, mentre la super-potenza si affida gioiosamente a un uomo che saluta persone inesistenti (lo dico dispiaciuto: quell’uomo ha un problema, siamo ai limiti del maltrattamento), la Cina segue il suo vecchio adagio di una classe dirigente imparziale, preparata, di tecnici al servizio dello Stato (e si vede).

Arriva un momento in cui possiamo fare tutte le chiacchiere che vogliamo, ma la Russia ha 6000 bombe atomiche e il gas; il PIL della Cina supererà quello degli USA nel 2030 (quindi avrà più risorse per ricerca e armi).

Tarantino direbbe: “Mi chiamo Jerda, e non è con le chiacchiere che uscirai da questa merda”.

Uruguay e emigrazione italiana: sogni, speranze e rivoluzioni

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Gabriele Germani
Gabriele Germani
Roma, 1986. Laureato in Storia contemporanea e Psicologia, con Master in Geopolitica. Lavora nell’ambito pedagogico-educativo. Si occupa da anni dei rapporti tra il Sud e il Nord del mondo, con le lenti del neo-marxismo, della teoria della dipendenza, del sistema-mondo e dell’Eurasia. Con questa prospettiva ha pubblicato negli anni, alcuni libri e articoli di storia e antropologia, in particolare sull’America Latina. Riferimenti bibliografici: Uruguay e emigrazione italiana: sogni, speranze e rivoluzioni di Gabriele Germani (Autore), Anthology Digital Publishing, 2022. Ha inoltre in pubblicazione con Kulturjam Edizioni: una raccolta di riflessioni su BRICS e mondo multipolare, con introduzione di Gianfranco La Grassa e con Mario Pascale Editore un testo sulla politica estera italiana durante la II Repubblica. Cura un micro-blog sul suo profilo Facebook (a nome “Gabriele Germani”) e un Canale Telegram sempre a nome “Gabriele Germani” (t.me/gabgerma). Dirige inoltre il Podcast “La grande imboscata” su attualità, geopolitica e cultura su varie piattaforme.

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