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L’Iran, con profondità strategica, economia decentrata e alleati regionali, può sostenere un conflitto prolungato. Israele, più vulnerabile e dipendente da rifornimenti esterni, rischia l’erosione del vantaggio militare. Un conflitto di logoramento lo sfavorisce. A meno che gli USA non intervengano direttamente.
Iran vs Israele: perché la guerra di logoramento favorisce Teheran
Nel conflitto tra Iran e Israele, coperto da una nube di propaganda, è dominato dall’apparenza tecnologica e dalla spettacolarità degli attacchi, ma il vero ago della bilancia risiede nella profondità strategica, strutturale e territoriale.
In una guerra di logoramento, Teheran si rivela un avversario ben più ostico di quanto l’arsenale israeliano possa far pensare.
Geografia, demografia e struttura economica: la resilienza iraniana
La prima differenza determinante è la geografia: l’Iran si estende per oltre 1.650.000 km², contro i 22.000 di Israele. Questo dato non è solo numerico: significa profondità strategica, capacità di assorbire colpi, decentralizzare la produzione e rendere inefficace ogni tentativo di paralisi militare dall’esterno.
Sul piano demografico, l’Iran conta 87 milioni di abitanti, una popolazione giovane (età mediana: 32 anni), distribuita in insediamenti urbani mediamente bassi e diffusi. Al contrario, Israele è un paese altamente urbanizzato, densamente popolato e strutturalmente centralizzato.
La concentrazione di infrastrutture vitali (4-5 grandi fabbriche belliche, due raffinerie, la rete elettrica, i porti principali) lo rende più vulnerabile a eventuali attacchi missilistici.
Sul piano economico, l’Iran ha una struttura industriale significativa, con un 25% del PIL proveniente dal settore secondario, una produzione diffusa e in parte militarizzata (i Pasdaran controllano direttamente una fetta importante dell’economia). Israele si basa invece per il 66% sul terziario: un modello avanzato ma fragile, dipendente da infrastrutture centralizzate e da filiere tecnologiche ad alta intensità energetica e logistica.
Missili, droni e capacità produttiva: i limiti dell’high tech israeliano
Sul piano militare, il confronto mostra due filosofie opposte. Israele punta sulla superiorità aerea, con 400 aerei da guerra (F-35, F-15, F-16), droni sofisticati e missili da crociera a lunga precisione. Ma la sua forza missilistica terrestre è limitata e focalizzata sul nucleare strategico (missili Jericho III). L’Iran, invece, ha una vasta forza missilistica balistica convenzionale (fino a 5.000 pezzi stimati), una produzione mensile autonoma fino a 200 missili e centinaia di droni d’attacco, venduti anche alla Russia.
Israele potrebbe sostenere un conflitto diretto per due o tre settimane, ma avrebbe bisogno di rifornimenti esterni per proseguire. L’Iran, grazie alla sua capacità produttiva decentrata, può mantenere un ritmo offensivo sostenuto per diversi mesi, soprattutto se supportato dalle milizie proxy: Hezbollah, Hamas, Houthi, milizie irachene.
La produzione iraniana, frutto anche di cooperazione tecnologica con la Cina, è distribuita in impianti difficilmente individuabili e protetti anche in profondità desertiche. In pratica, fermare la macchina bellica iraniana richiederebbe un’occupazione sul terreno: ipotesi attualmente fuori portata.
Una strategia che logora: Israele stretto su più fronti
Il punto strategico centrale è la vulnerabilità sistemica israeliana. Se colpita nei nodi vitali (porti, centrali, fabbriche), la capacità di rigenerazione del sistema difensivo israeliano crollerebbe rapidamente. Le linee logistiche, già sotto pressione, non potrebbero essere facilmente sostituite. Inoltre, con più fronti potenzialmente attivi — Nord (Hezbollah), Sud (Hamas), Est (Golan siriano), Mar Rosso (Houthis) — Israele rischia di trovarsi sovraesposto.
L’unico reale contrappeso strategico di Tel Aviv è il supporto statunitense. Ma una guerra su larga scala comporterebbe un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti, cosa sempre più complicata in un quadro interno segnato da crisi politica, debito pubblico oltre il 130% del PIL e tensioni economiche dovute alla guerra in Ucraina e alle fragilità del dollaro.
Teheran, al contrario, sembra puntare proprio su questo: un logoramento progressivo che permetta di negoziare da una posizione di forza.
Un negoziato che potrebbe concretizzarsi già in autunno, con la mediazione di potenze intermedie come Cina, Turchia, Oman e Qatar. In alternativa, l’escalation su più fronti potrebbe portare a un conflitto generalizzato, ma in quel caso Israele rischierebbe di pagare un prezzo molto più alto.
In definitiva, la vera forza dell’Iran non sta nella superiorità tecnologica, ma nella sua resilienza strategica e produttiva. Un osso duro, forse troppo, per le ambizioni israeliane in uno scontro prolungato.
Naturalmente, l’intero disegno strategico acquista coerenza solo se, in ultima istanza, gli Stati Uniti decidono di intervenire direttamente sul campo con truppe, oppure di avviare un’offensiva militare su larga scala.
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