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Il declino dell’egemonia USA: i complotti non esistono, le strategie si

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I cicli di accumulazione del capitalismo coincidono con cicli egemonici destinati ad esaurirsi. Gli USA puntano ora a governare la crisi fino al 2030 circa e poi a rilanciare un nuovo ciclo di accumulazione.

Il declino dell’egemonia USA

Buona parte delle mie attuali analisi sul sistema-mondo si reggono su alcuni punti che proverò ad elencare.

1) I cicli di accumulazione del capitalismo (dando a questa parola un significato largo e facendola coincidere con la globalizzazione dei mercati, quindi datandola agli inizi del ‘500) coincidono con cicli egemonici. Si comincia col predominio iberico (Spagna) legato alla finanza genovese, poi i Paesi Bassi, Regno Unito, gli USA.

La transizione UK-USA porta al passaggio da un capitalismo di tipo padronale (in cui il padrone comandava l’azienda, come in Marx) a uno di tipo manageriale (i manager prendono il potere delle grandi aziende, facendo le veci dei consigli di amministrazione).

2) All’interno di questi cicli, troviamo anche un’alternarsi tra forme economiche aperte e chiuse. Da inizio ‘900: liberismo pre ’29, keynesismo, neoliberismo dagli anni ’80. Ragionevole supporre che tra i modelli proposti dai BRICS (diversi tra loro, ma tutti più regolati) ne emergerà uno a sostituire il precedente.

3) Negli anni ’70, gli USA hanno vissuto il periodo di maggior declino e al contempo di teorizzazione della reazione. Per il socialismo come alternativa di civiltà, quel decennio costituì lo snodo principale.

In pochi anni, gli USA si ritirarono dal Vietnam vedendo crollare Laos e Cambogia, assistettero alla rivoluzione islamica in Iran, ai sandinisti in Nicaragua, al socialismo in Angola e Mozambico, al rafforzamento delle sinistre in Europa e del movimento sindacale in casa, la fine del fascismo in Spagna e Portogallo, lo shock petrolifero.

Paradossalmente fu in questo momento di crisi acuta che la classe egemonica USA riuscì ad elaborare una reazione in ambito economico chiamata neoliberismo, che io chiamo neo-reazione viste le conseguenze non solo economiche.

Gli USA convertirono le perdite in opportunità: l’apertura alla Cina, creò una frattura nel mondo socialista (la Cina finanziò per conto occidentale Pol Pot e nel 1979 dichiarò guerra al Vietnam); il revival islamico fu lanciato in Afghanistan contro i sovietici; lo sganciamento dollaro-oro rese possibile la successiva finanziarizzazione.

Il meccanismo fu perfetto: spostare i capitali in Cina dato lo scarso costo del lavoro, implicava spostare le industrie in Estremo Oriente e quindi de-industrializzare l’Occidente.

Questa fu alla base della precarizzazione della società, del suo smembramento e della sua depoliticizzazione (in Italia lo vedemmo con la marcia dei 40.000). La vittoria sull’URSS e il contenimento parziale di questo movimento è il lungo frutto di questa strategia.

L’applicazione nel Cile di Pinochet nel ’73 delle misure neoliberali chiarisce il filo rosso di questo movimento reazionario (che oggi vediamo esplodere in questa internazionale nera che va Salvini a Trump, fino a Wilders, a Vox o Bolsonaro e che cavalca lo smembramento dell’opinione pubblica dalla salute al clima, fino all’istruzione: si è distrutta la verità condivisa, per distruggere la condivisione).

Il capitalismo genera però la sua stessa crisi. Industrializzare la Cina era sul lungo periodo un cattivo affare e si arriva all’odierno proliferare di crisi e conflitti (che rilanciano l’economia col solito keynesismo di guerra). Gli USA puntano ora a governare la crisi fino al 2030 circa e poi a rilanciare un nuovo ciclo di accumulazione (con ancora loro a capo) tramite nuovi materiali, intelligenza artificiale e colonizzazione spaziale (parliamo di almeno altri 50-70 anni di egemonia).

Questo in parte è avvenuto in modo caotico, semplicemente difendendo i propri interessi, in parte no. La gestione dell’America Latina, della Cina e la pianificazione neo-liberale è candidamente ammessa negli archivi della CIA (e non solo).

Il gruppo Rockefeller, ad esempio, finanziò per tutti gli anni ’70 studi su come la religione cattolica favorisse la penetrazione comunista in Sud America e a partire dal decennio successivo vediamo il massiccio sostegno (attraverso l’amministrazione Reagan, quella di apertura del neoliberismo) della CIA ai gruppi evangelici in tutta l’area.

I complotti non esistono, ma le strategie si; la differenza tra governanti e governati consiste proprio nel capirle e pianificarle.

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Gabriele Germani
Gabriele Germani
Roma, 1986. Laureato in Storia contemporanea e Psicologia, con Master in Geopolitica. Lavora nell’ambito pedagogico-educativo. Si occupa da anni dei rapporti tra il Sud e il Nord del mondo, con le lenti del neo-marxismo, della teoria della dipendenza, del sistema-mondo e dell’Eurasia. Con questa prospettiva ha pubblicato negli anni, alcuni libri e articoli di storia e antropologia, in particolare sull’America Latina. Riferimenti bibliografici: Uruguay e emigrazione italiana: sogni, speranze e rivoluzioni di Gabriele Germani (Autore), Anthology Digital Publishing, 2022. Ha inoltre in pubblicazione con Kulturjam Edizioni: una raccolta di riflessioni su BRICS e mondo multipolare, con introduzione di Gianfranco La Grassa e con Mario Pascale Editore un testo sulla politica estera italiana durante la II Repubblica. Cura un micro-blog sul suo profilo Facebook (a nome “Gabriele Germani”) e un Canale Telegram sempre a nome “Gabriele Germani” (t.me/gabgerma). Dirige inoltre il Podcast “La grande imboscata” su attualità, geopolitica e cultura su varie piattaforme.

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