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Nel conflitto ucraino, propaganda e logoramento militare dominano la scena. Mentre la Russia avanza con strategia e ricambio ai vertici, l’Ucraina è stremata. L’Occidente vacilla. Solo un cambio di rotta europeo e un negoziato realistico possono evitare l’escalation.
Ucraina oggi: serve un cambio di rotta
Nella guerra, si sa, la verità è spesso la prima vittima. Ma mai come nel conflitto ucraino la menzogna sembra essere diventata non solo un’arma, ma l’intera architettura strategica. Dal 2022, idealismo e propaganda hanno convissuto con una spietata realpolitik, sostenuta da una narrazione bellica in cui ogni sconfitta viene truccata da successo e ogni azione viene giustificata in nome di valori superiori.
Il giornalismo, in questo quadro, ha spesso abdicato alla propria funzione critica per diventare “trombettiere”, come qualcuno ha scritto: megafono della propaganda bellica, più che cane da guardia della democrazia. I-
l controllo delle fonti, l’accesso limitato ai fronti e il dominio della comunicazione da parte dei governi coinvolti hanno creato un’informazione piegata agli interessi strategici, più che fedele alla realtà dei fatti.
Eppure, la guerra in Ucraina ha evidenziato anche una trasformazione profonda della strategia militare. Il supporto statunitense in termini di intelligence satellitare, l’uso massiccio di droni e strumenti elettronici hanno ridisegnato il campo di battaglia. Ma la tecnologia, per quanto avanzata, non compensa l’usura umana.
L’esercito ucraino, composto in gran parte da civili militarizzati, è logorato: perdite ingenti, diserzioni, fughe all’estero e crisi nella mobilitazione. Una sproporzione che pesa anche demograficamente: 35 milioni di abitanti contro i 140 della Russia.
Dall’altra parte, Mosca ha imparato a colpire con metodo. Niente assalti diretti: accerchiamenti, bombardamenti a distanza, uso chirurgico di droni e commando. Una strategia efficace, che nel 2025 ha moltiplicato il ritmo dell’avanzata russa. A questo si aggiunge il ricambio interno ai vertici militari: nuovi generali, nuovi metodi, meno interferenze politiche.
Volodymyr Zelensky, al contrario, ha spesso intrecciato propaganda interna e strategia militare. Le offensive simboliche – come a Bakhmut o a Kursk – hanno avuto un altissimo costo umano, con risultati discutibili. E anche la tenuta della solidarietà occidentale è a rischio. L’UE fatica a sostenere il conflitto, stretta tra limiti produttivi e tensioni politiche interne. Trump ha spostato l’asse diplomatico verso negoziati diretti, con l’Europa relegata al ruolo di spettatrice.
Il futuro del conflitto appare incerto, ma una possibilità concreta si fa strada: un cessate il fuoco fondato su un compromesso territoriale e su nuove garanzie di sicurezza. Resta però un ostacolo enorme: la cultura politica europea. Continuare a inseguire una vittoria totale, agitando fantasmi bellicisti, è una scelta pericolosa e – alla luce dei fatti – illusoria.
Serve un cambio di paradigma. Accettare un mondo multipolare, smettere di parlare la lingua della guerra e costruire un nuovo equilibrio. Il tempo per farlo è poco. E i volti oggi in prima linea nella politica continentale – da Macron a von der Leyen, da Starmer a Meloni – non sembrano quelli giusti per guidare una svolta. Eppure, è proprio da una scelta razionale, fondata sulla diplomazia e sulla realtà, che potrebbe nascere la vera stabilità per l’Europa.
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