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Trump, il gatto della Casa Bianca e lo scolapasta d’Israele: cronache di una guerra da 10 Giorni (non 12!)

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Trump gioca al gatto geopolitico: bombarda l’Iran, manda in tilt lo scudo d’Israele e poi media una tregua fragile come un biscotto. In soli 10 giorni trasforma il Medio Oriente in un reality show tra proclami, disastri e richieste di applausi. E il nucleare? Sempre lì.

Trump, il gatto della Casa Bianca e lo scolapasta d’Israele

Immaginate un gatto arancione, con una criniera improbabile, che si aggira per la Casa Bianca facendo disastri e poi, con aria innocente, miagola per la pappa. Questo è Donald Trump, signore e signori, il felino geopolitico che in soli 10 giorni (non 12, caro Donald, i numeri contano!) ha trasformato il Medio Oriente in un reality show con tanto di bombe, tregue e proclami trionfali.

E chi ci rimette? Israele, con il suo scudo antimissile che sembrava uno scolapasta bucato. Sedetevi, prendete un caffè, e vediamo che disastro ha combinato stavolta il nostro gatto.

Atto primo: il gatto bombarda e miagola

Era una tranquilla serata di metà giugno 2025 quando Trump, autoproclamato “uomo di pace” (sì, quello che risolverà la guerra in Ucraina e spegnerà ogni tensione globale), decide di fare il botto. Letteralmente. Con l’operazione “Midnight Hammer”, ordina il bombardamento di tre siti nucleari iraniani: Fordow, Natanz e Isfahan. “Un successo spettacolare!”, tuona dal suo scranno, con la coda dritta e il pelo lucido.

Peccato che l’AIEA, con la faccia di chi ha visto troppi gatti vantarsi, dica che non c’è stato nessun rilascio radioattivo. Traduzione: i siti sono ancora lì, magari un po’ ammaccati, ma l’uranio arricchito? Sparito, probabilmente in qualche bunker segreto iraniano. Il New York Times sussurra che il programma nucleare di Teheran è stato solo “rallentato di qualche mese”. Roba che il mio gatto, quando rompe un vaso, almeno ha la decenza di sembrare imbarazzato.

Atto secondo: lo scolapasta d’Israele

Israele, il vicino di casa che si crede Superman, pensava di avere uno scudo antimissile impenetrabile: Iron Dome, Arrow, roba da film di fantascienza. Ma quando l’Iran, punto sul vivo, risponde con 180 missili il 14 giugno, colpendo basi USA in Qatar e città israeliane come Be’er Sheva, lo scudo si rivela per quello che è: uno scolapasta. Qualche missile passa, le sirene ululano, e l’aura di invincibilità di Tel Aviv si incrina come il vetro di una finestra sotto le zampate del gatto Trump. Netanyahu, con il suo miglior sorriso da politico, parla di “vittoria storica”, ma la verità è che il programma nucleare iraniano è ancora lì, il cambio di regime a Teheran è un sogno lontano, e Israele ha scoperto di non essere poi così intoccabile.

Atto terzo: la tregua del gatto

E qui arriva il colpo di genio felino. Dopo aver scatenato il caos, Trump si siede sul divano geopolitico, si lecca i baffi e annuncia una tregua tra Israele e Iran, effettiva dal 24 giugno 2025. “La guerra è finita!”, miagola, come se quei 10 giorni di bombe fossero stati un suo piano geniale. Peccato che la tregua sia fragile come un biscotto per gatti: Israele continua a colpire obiettivi iraniani, violando l’accordo, finché Trump non prende il telefono e sgrida Netanyahu come si fa con un cucciolo disobbediente. L’Iran, dal canto suo, accetta la tregua ma con un ghigno che dice: “Ci rivediamo presto”. E il programma nucleare? Sempre lì, pronto a ripartire.

Epilogo: il gatto chiede la pappa

Alla fine, Trump emerge come il gatto che, dopo aver distrutto il salotto, si struscia sulle gambe del mondo chiedendo applausi. Ha bombardato, ha mediato, ha dichiarato vittoria, e ora passa al prossimo disastro, con la nonchalance di chi sa che la ciotola verrà riempita comunque. Israele, invece, si lecca le ferite: voleva decapitare il programma nucleare iraniano e indebolire Teheran, ma si ritrova con uno scolapasta al posto dello scudo e la consapevolezza che il nemico è ancora in piedi. L’Iran, come un gatto rivale, si è preso qualche graffio ma è pronto a tornare sul tetto.

E noi? Guardiamo questo spettacolo sorseggiando il caffè, chiedendoci se il prossimo disastro del gatto Trump sarà ancora più spettacolare. Intanto, il mio gatto vero, quello che vive in casa, ha appena fatto cadere una tazza. E sì, ora sta miagolando per la pappa. Almeno lui non bombarda nessuno.

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parole ribelli, menti libere

Enrico Zerbo
Enrico Zerbo
Ligure, ama i gatti, la buona cucina e le belle donne. L'ordine di classifica è a caso. Come molte cose della vita. Antifascista ed incensurato.

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