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Siria: tra speranza e caos post-Assad. Il racconto di Lidia Ginestra Giuffrida

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Dopo la caduta di Assad, la Siria vive incertezza tra crisi economica e nuovi massacri. Il governo di transizione promette democrazia, ma la violenza persiste. Israele rafforza l’occupazione del Golan, mentre molti siriani rientrano in un Paese ancora insicuro. L’intervista con la giornalista Lidia Ginestra Giuffrida, di ritorno dal Medio Oriente.

La Siria oggi, il racconto di Lidia Ginestra Giuffrida

Intervista dello scrittore Eugenio Cardi a Lidia Ginestra Giuffrida, giornalista esperta di migrazioni e Medioriente, collaboratrice con Al Jazeera English all’estero e diverse testate in Italia.

So che sei appena rientrata dalla Siria, per cui la prima dom.anda va da sé: che situazione hai trovato, alla luce della nuova amministrazione, post Assad? Che sensazioni hai avuto? Al di là della situazione politica, a che punto è la ricostruzione del Paese, in Siria?

Sì, sono rientrata da un paio di settimane dalla Siria, dopo aver trascorso un lungo mese tra il Nord-Est della Siria, quindi nei territori controllati dalla amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est; poi sono stata a Damasco e a Suwayda, nel profondo Sud della Siria, la città più grande dell’area a maggioranza drusa.

A Damasco (dove la situazione è già cambiata molto da quando io sono rientrata in Italia), ho provato sensazioni di grande incertezza. C’era grande festa naturalmente per la caduta del regime, dato che già da mesi tutte le varie minoranza e gruppi tecnici erano ossessionati da timori di ogni genere dovuti alla feroce dittatura di Assad, ma la grande incertezza che ho vissuto e che ho visto negli occhi della gente era dovuta innanzitutto alla gravissima situazione economica del Paese: la Siria infatti è al lastrico (sia per la guerra civile, naturalmente, ma anche e soprattutto per via delle sanzioni dei Paesi occidentali).

Considera che la Siria è un Paese che per la gran parte del tempo non ha corrente elettrica, riesce ad usufruirne al massimo per due o tre ore al giorno, è un Paese nel quale la gente lotta per un pacco di farina. In buona sostanza dal punto di vista umanitario è un Paese a pezzi, e su tutto ciò contribuisce drammaticamente e fortemente il blocco dei fondi da parte degli Stati Uniti.

In particolare la situazione è ancor più drammatica nel Nord est della Siria, dove vi sono campi profughi senza acqua né farina, ivi incluso nel campo di detenzione più grande al mondo dove vivono i familiari delle persone che hanno combattuto al fianco di Daesh e dei foreign fighters occidentali.

Naturalmente le paure delle persone si sono poi ulteriormente concretizzate alla luce dei massacri degli ultimi giorni, tanti infatti affermano “Sì, le milizie di Al-Sharaa ci hanno liberato da Assad, è vero, ma noi non ci fidiamo di loro…”, ed effettivamente nella zona costiera del paese le paure e le tensioni di cui avevo già scritto più di un mese fa si sono regolarmente concretizzate.

Tra giovedì e venerdì scorso poi vi è stato il più grande attacco dalla caduta di Assad, le persone legate al vecchio regime hanno attaccato diversi check-point controllati dalla sicurezza nazionale di Al-Sharaa, da qui il nuovo governo ha deciso di inviare delle truppe nella zona costiera per reprimere lo spargimento di sangue e punire i responsabili. Il fatto è però che, subito dopo, tale punizione ha assunto carattere collettivo, con più di 1000 morti, cosa che ci ricorda da vicino le mattanze tipiche di Daesh, torture riprese dagli stessi miliziani ISIS.

Al-Sharaa ha dichiarato che vi sono delle indagini in corso e che queste persone che si sono macchiate di tali crimini hanno fatto tutto in autonomia, non obbedendo a suoi ordini in tal senso, cosa naturalmente della quale però non è possibile accertare l’effettiva veridicità. In tutta questa massima confusione, si aggiungono i miliziani stranieri giunti nella zona costiera spinti dall’ideologia jihadista.

A proposito di tutto ciò, un mio caro amico, un attivista, mi ha detto che le opzioni in tal senso sono due: o i miliziani autori dei vari massacri sono stati inviati da Al-Sharaa e poi hanno smesso di rispondere ai suoi ordini, o invece sono arrivati lì proprio obbedendo ad Al-Sharaa. Se fosse andata come in quest’ultimo caso, il problema sarebbe certamente più grande e preoccupante.

Ad ogni modo in alcune città gli uomini della sicurezza nazionale di Al-Sharaa hanno protetto i civili e si sono scontrati con le stesse milizie HTS, per cui questo ci fa propendere per la prima ipotesi, ovvero che quindi in effetti il massacro avvenuto non era sotto il controllo del governo né preordinato da quest’ultimo.

Ad ogni modo anche ora, proprio mentre stiamo parlando, sulla costa continuano ad essere assassinati alawiti e cristiani. Ritengo che la necessità prioritaria su tutto il resto sia quella di istituire un processo di giustizia riparativa, prima ancora di pensare di poter instaurare un sistema democratico nel Paese.

Ad esempio vi sono le madri delle persone scomparse sotto il regime di Assad che non hanno mai più avuto né alcuna notizia dei figli né alcuna forma di giustizia. Se non si creano prioritariamente sistemi di giustizia riparativa per tutte le questioni di questo genere ancora sul tavolo, inutile pensare di programmare già un sistema democratico.

Sappiamo bene che Ahmed Al-Sharaa, storicamente alla guida di formazioni jihadiste nate da una costola di Al-Qaeda, si sta dando molto da fare per crearsi a livello internazionale un’immagine politica rispettabile e affidabile: quanto credi che durerà questa sua nuova veste che vuol essere rassicurante? Lui afferma di essere un Presidente di transizione che porterà la Siria ad essere un Paese inclusivo, con elezioni libere e democratiche che si avranno entro 4-5 anni: andrà davvero così? Perché alla luce degli avvenimenti degli ultimi giorni con centinaia di morti ammazzati di siriani alawiti non sembrerebbe…

Difficilissimo naturalmente dare oggi delle previsioni in tal senso, certo è che quel che è avvenuto negli ultimi giorni è molto preoccupante, insisto quindi sul punto, e ribadisco, che un passo fondamentale sarebbe quello di attuare un processo di giustizia riparativa, come dicevo poc’anzi, prima ancora di pensare ai passi successivi.

In Siria, le persone comuni, ci hanno detto che sì, è vero, che loro sono disabituati alla democrazia, ma soprattutto erano disabituati a parlare sotto la tirannia degli Assad, semplicemente a parlare! Fermo restando che naturalmente i massacri avvenuti negli ultimi giorni non sono in alcun modo giustificabili, quel che c’è da capire è che sono episodi che rappresentano e lasciano intendere la complessità di un Paese fatto da generazioni e generazioni piegate dalla tirannia e che, appunto, non sanno cosa sia la democrazia e che soprattutto negli ultimi anni non hanno fatto altro che ammazzarsi a vicenda.

La gente è stanca di star lì ad ammazzarsi, le persone oggi vogliono fortemente pace e democrazia, in una Siria che sia unita finalmente. Detto questo però naturalmente non è cosa che si può pensare né prevedere che accadrà regolarmente da qui a 5 anni, non ultimo al momento l’emergenza è quella di riuscire a sfamare milioni di persone; si parte dai bisogni primari dei siriani che hanno bisogno di tutto. Con il necessario aiuto della comunità internazionale che, speriamo, funga da monito e garantisca una vera transizione democratica.

Sembrerebbe che Israele abbia dato una bella spinta all’insediamento del gruppo di Ahmed Al-Sharaa attraverso centinaia di bombardamenti; in questi ultimi giorni però Israele ha ripreso a bombardare la Siria in zone a meno di venti km da Damasco e Netanyahu ha affermato che continuerà ad occupare a tempo indeterminato le porzioni di territorio di cui si è impossessato in occasione del cambio di regime. Cosa credi che succederà tra i due Paesi tra i quali non è mai corso buon sangue nei decenni precedenti?

Anche qui è davvero difficile prevedere cosa potrà succedere tra Siria e Israele, il quale governo ha espresso chiaramente la propria intenzione di mantenere a tutti gli effetti l’occupazione delle alture del Golan (già occupate fin dal 1967).

Dalla caduta del regime di Assad l’occupazione israeliana è aumentata, Israele sta procedendo in una continua occupazione, come d’altronde ha sempre fatto in Libano e in Palestina. Addirittura, avanzando, stanno già fondando nuove colonie dove offrono lavoro ai siriani, tra l’altro attraendoli versando loro un’ottima paga, con il tentativo, non nascosto, di egemonizzare tutta quella parte di Siria, creare una zona cuscinetto tra la Siria di Al Sharaa, la Turchia e la stessa Israele.

La storiella degli aiuti israeliani ai drusi non regge, e lo abbiamo visto nelle scorse settimana quando i drusi di Suwayda sono scesi in piazza per settimane per protestare contro l’occupazione israeliana. Sicuramente vi sono dei drusi che vorrebbero essere annessi da Israele, sia per il timore che scatena in loro il nuovo governo siriano ma anche e soprattutto per quella paga da 1000 dollari al mese che da quelle parti è qualcosa di mai visto; ma tutti i drusi con cui ho parlato a Suwayda (la città drusa più grande della Siria) erano contro l’occupazione israeliana, e non solo della Siria, ma anche contro l’occupazione di Gaza e della Cisgiordania, come d’altronde i drusi delle alture del Golan, che hanno rifiutato la cittadinanza israeliana e di conseguenza non vengono riconosciuti come cittadini israeliani.

So che molti siriani stanno pensando di rientrare in patria, anche perché quelli residenti in Germania son spinti a farlo, da quel che mi risulta: è così?

È senz’altro vero che tantissimi profughi siriani sono rientrati nel Paese dopo la caduta di Assad anche per via di quel che dicevi tu, ed ovvero che soprattutto in Germania son spinti a farlo, come anche da parte di altri Paesi europei.

Due cose però son fondamentali: a) va compreso e ribadito che la Siria NON è un Paese sicuro, non lo è ancora, quantomeno, e quel che è accaduto negli ultimi giorni lo ha dimostrato ampiamente. Non è un Paese sicuro dal punto di vista economico e non lo è dal punto di vista umanitario, non è possibile considerarlo come un Paese dove si può ritornare in sicurezza. B) Vero è anche però che la gente in Siria chiede che i profughi siriani ritornino in patria perché è necessario sotto tanti aspetti, soprattutto che rientrino i giovani che possano lavorare per la Siria nel ricostruire il Paese, ma ripeto e ribadisco nuovamente che la Siria oggi non è un Paese sicuro.

Ultima domanda sulla situazione in Palestina che proprio in questi giorni sta tornando ad incrinarsi dopo quel pallido tentativo di tregua, con l’invasione dei carrarmati israeliani in Cisgiordania (cosa che non accadeva dal 2002) e l’impedimento di Israele all’ingresso di aiuti umanitari a Gaza; come vedi la situazione? Cosa ne pensi?

Penso che sia una situazione disastrosa, difficile aggiungere altre parole. Penso che il progetto di Israele di pulizia etnica procederà a ritmi sempre più veloci e serrati, avendo la garanzia e la copertura dell’amministrazione Trump.

Lidia Ginestra Giuffrida

 

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Eugenio Cardi
Eugenio Cardi
Scrittore, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato ad oggi dodici romanzi, pubblicati in Italia e all’estero

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