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Morgan a processo, stop al tentativo di giustizia riparativa. Parla il musicista

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Il tentativo di giustizia riparativa nel processo a Morgan fallisce: l’ex compagna si ritira. Il giudice accoglie l’eccezione della difesa e rimette una questione costituzionale alla Consulta. Morgan parla di giustizia, libertà d’espressione e responsabilità civile.

Morgan, stop al tentativo di giustizia riparativa

Il tentativo di avviare un percorso di giustizia riparativa nel processo a carico di Marco Castoldi, noto come Morgan, imputato per stalking e diffamazione aggravata nei confronti dell’ex compagna Angelica Schiatti, si è concluso senza esito.

La musicista originaria di Merate, in provincia di Lecco, ha scelto di interrompere l’iter, determinando così la prosecuzione del procedimento penale davanti al Tribunale di Lecco. Nell’udienza del 1° luglio 2025 si è registrata una svolta significativa: la difesa di Morgan ha sollevato una questione di legittimità costituzionale, aprendo nuovi scenari giudiziari in una vicenda che ha avuto origine nel 2020.

Morgan ha rotto il silenzio rilasciando una nota di commento:

Oggi (ieri, ndr) si è tenuta l’udienza a mio carico per il procedimento in cui sono stato chiamato in causa a seguito di comportamenti che, fin dall’inizio, ho ritenuto estranei alla mia intenzione di nuocere e non corrispondenti alla mia natura di cittadino, artista e persona pubblica.

Il giudice ha accolto l’eccezione preliminare sollevata dalla mia difesa, riconoscendo che il fatto contestato non riveste carattere di particolare gravità e quindi non rientra più tra quelli procedibili d’ufficio.
Contestualmente, il giudice ha acquisito agli atti la somma di 15.000 euro da me spontaneamente offerta in spirito di riparazione, senza alcuna ammissione di colpevolezza, ma con la volontà di dimostrare responsabilità, rispetto umano e disponibilità al confronto civile.

Ancora più rilevante, in sede processuale è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale riguardante la norma su cui si fondava l’accusa. Il giudice ha ritenuto questa questione non manifestamente infondata, e ha dunque deciso di rimetterla alla Corte Costituzionale per una valutazione più ampia e strutturale.

Questo significa che il mio caso non è più solo una questione personale, ma è divenuto occasione di riflessione sulla giustizia e sulla correttezza delle norme che regolano la vita dei cittadini, specialmente nei casi in cui la libertà di espressione, il linguaggio simbolico o i rapporti umani complessi vengono semplificati in formule penali inadeguate.

Ribadisco la mia assoluta fiducia nella magistratura, che oggi ha dimostrato lucidità e capacità di ascolto, e ringrazio pubblicamente il mio avvocato, che ha saputo difendere la mia posizione non solo dal punto di vista giuridico, ma anche umano.

Aggiungo, infine, una riflessione che esula dal contesto processuale:
la somma di 15.000 euro, che per me e per la mia famiglia rappresenta un grande sacrificio reale, è stata versata non come ammissione di colpa, ma come gesto di disponibilità e senso civico.

Qualora la persona offesa — che gode di una condizione patrimoniale di rara prosperità — decidesse di accettarla, mi auguro vivamente che voglia devolvere tale somma a un’associazione che si occupa di tutelare le donne che hanno subito violenza vera, concreta, fisica o psicologica.
Sarebbe un segno di coerenza e di giustizia sostanziale.

Attendo l’udienza dell’8 settembre con serenità, sapendo di aver agito secondo coscienza, nella legalità e con senso della responsabilità.”

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