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L’altra verità sull’atomica: ciò che Alberto Angela non ha detto

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Alberto Angela, nel suo speciale sulle atomiche che distrussero Hiroshima e Nagasaki, ha omesso un punto cruciale: l’uso della bomba non era necessario. Lo dissero Eisenhower e altri leader USA. Il Giappone cercava la resa. La bomba fu un segnale all’URSS, non solo la “fine della guerra”. E fu un crimine di guerra.

Un’occasione mancata: ciò che Alberto Angela non ha raccontato sull’atomica

Nella recente puntata dedicata alla bomba atomica, Alberto Angela ha ricostruito con la sua consueta efficacia televisiva i passaggi cruciali che portarono alla distruzione di Hiroshima e Nagasaki.

Tuttavia, al di là della spettacolarizzazione, la trasmissione ha trascurato alcuni elementi fondamentali per comprendere la reale portata storica e politica di quella scelta. Il nodo centrale – l’effettiva necessità dell’uso dell’atomica – è rimasto sullo sfondo, se non del tutto eluso.

La resa del Giappone era già in atto: lo sapevano gli Stati Uniti

Contrariamente alla narrazione più diffusa, l’impiego delle armi nucleari sul Giappone non fu decisivo né indispensabile per chiudere il conflitto. Numerosi documenti declassificati, tra cui le intercettazioni delle comunicazioni interne della leadership nipponica (operazione Magic), indicano che Tokyo stava già cercando una via d’uscita onorevole dalla guerra, a condizione che l’imperatore potesse essere risparmiato.

Queste informazioni, in possesso dell’intelligence statunitense ben prima dell’agosto 1945, sono dettagliatamente documentate in opere accademiche come The Decision to Use the Atomic Bomb dello storico Gar Alperovitz. L’idea che fosse necessario distruggere due città per ottenere la resa appare, alla luce di questi dati, come una costruzione successiva. E un vero e proprio crimine di guerra, mai voluto affrontare dalla comunità internazionale.

Le voci critiche dall’interno dell’apparato militare

A conferma della scarsa necessità militare del bombardamento atomico vi sono le dichiarazioni di numerosi esponenti dell’establishment bellico statunitense. In particolare, il generale Dwight D. Eisenhower – comandante supremo delle forze alleate in Europa – manifestò pubblicamente il proprio dissenso.

Durante un incontro con il Segretario della Guerra Henry Stimson, Eisenhower si disse “sconvolto” dalla decisione di impiegare un’arma tanto devastante, ritenendo che il Giappone fosse “già sconfitto” e alla ricerca di una formula per la resa.

Non si trattava, dunque, di una valutazione ideologica, ma del punto di vista di un alto ufficiale che aveva sconfitto la Germania nazista sul campo e conosceva bene la realtà strategica del momento.

Anche altre figure autorevoli, come il generale Douglas MacArthur e l’ammiraglio William D. Leahy (capo dello staff congiunto di Roosevelt e poi di Truman), espressero simili riserve. Leahy arrivò a definire l’uso della bomba come “un’assassinio inutile di civili”.

Albert Einstein: un coinvolgimento indiretto e un profondo rimorso

Albert Einstein è spesso associato alla bomba atomica, ma il suo coinvolgimento fu limitato. Nel 1939, su sollecitazione del fisico Leo Szilard, Einstein firmò una lettera indirizzata al presidente Franklin D. Roosevelt, avvertendo del rischio che la Germania nazista potesse sviluppare armi nucleari.

Questa lettera contribuì all’avvio delle ricerche che portarono al Progetto Manhattan. Tuttavia, Einstein non partecipò direttamente al progetto, poiché gli fu negato il nulla osta di sicurezza a causa delle sue posizioni pacifiste e delle sue simpatie politiche.

Dopo la guerra, Einstein espresse profondo rimorso per il suo ruolo indiretto nello sviluppo dell’arma nucleare, affermando: “Se avessi saputo che i tedeschi non sarebbero riusciti a sviluppare una bomba atomica, non avrei fatto nulla”.

Il Rapporto MAUD: la svolta decisiva nella corsa all’atomica

Mentre la lettera di Einstein a Roosevelt sollevò l’attenzione sul potenziale delle armi nucleari, fu il Rapporto MAUD, redatto nel 1941 da un comitato britannico, a fornire la prova definitiva della fattibilità della bomba atomica.

Il rapporto dimostrava che la massa critica di uranio-235 necessaria per una reazione a catena era nell’ordine dei chilogrammi, rendendo la costruzione dell’arma tecnicamente possibile. Questa scoperta accelerò gli sforzi degli Alleati nello sviluppo dell’arma nucleare.

L’atomica come segnale all’URSS?

Alla luce di queste considerazioni, emerge un’ipotesi avanzata da molti storici: quella che l’impiego della bomba non servisse tanto a concludere la guerra contro il Giappone, quanto a inviare un messaggio di forza all’Unione Sovietica, già indicata come futuro antagonista nella neonata Guerra Fredda.

Come ricorda lo storico Martin Sherwin, co-autore della monumentale biografia di Oppenheimer, «le bombe su Hiroshima e Nagasaki segnarono l’inizio della diplomazia nucleare, non la fine della Seconda Guerra Mondiale».

Completare il quadro

L’assenza di queste riflessioni nella narrazione televisiva, pur comprensibilmente orientata alla divulgazione, rappresenta un limite grave. Il dibattito sull’uso della bomba atomica è ben più complesso della sequenza lineare tecnologia-guerra-fine del conflitto.

Non si tratta di negare la portata storica della scoperta scientifica né la crudezza della guerra, ma di offrire al pubblico una visione più ampia, in cui le ragioni politiche, le alternative valutate e le voci dissenzienti abbiano il posto che meritano.

Fonti

  • Gar Alperovitz, The Decision to Use the Atomic Bomb, Vintage Books
  • Dwight D. Eisenhower, Mandate for Change: The White House Years
  • William D. Leahy, I Was There: The Personal Story of the Chief of Staff to Presidents Roosevelt and Truman
  • Kai Bird e Martin J. Sherwin, American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer
  • National Security Archive – George Washington University
  • U.S. Department of Energy – Office of Scientific and Technical Information (OSTI)

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