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La Germania rischia di tornare dalla parte sbagliata della storia: dopo decenni di sovranità limitata, ora si propone come primo alleato militare degli USA. Berlino abbandona la prudenza per servire un nuovo ordine bellicista.
Germania, dalla sovranità limitata alla subordinazione militare
Per oltre settant’anni, la Germania ha vissuto sotto il vincolo di una democrazia condizionata. Dopo la seconda guerra mondiale, la Repubblica Federale Tedesca fu ricostruita a immagine e somiglianza del modello liberale occidentale, ma sotto stretta tutela statunitense.
La messa al bando del partito comunista tedesco ne fu un simbolo inequivocabile: la democrazia era possibile, sì, ma solo entro i confini fissati da Washington.
Un destino analogo toccò all’Italia, dove la presenza del più forte partito comunista dell’Europa occidentale fu arginata sistematicamente per impedirne l’accesso al potere.
La guerra in Ucraina ha segnato una svolta: l’intera Europa si è allineata alla condizione di sovranità limitata che per decenni era stata propria solo di Italia e Germania. L’accordo del 2023, con cui l’Unione Europea ha di fatto delegato ogni responsabilità militare alla NATO, ha completato il processo di subordinazione strategica.
Anche paesi come la Francia — che per anni avevano coltivato una parziale autonomia geopolitica — sono rientrati nell’orbita americana, spesso a costo di gravi torsioni istituzionali. Il tentativo di impedire l’accesso della sinistra al governo francese nel 2023, nonostante l’esito elettorale, ne è un esempio lampante.
In questo nuovo scenario, la Germania sta assumendo un ruolo sempre più attivo sul piano militare, sollevando timori legati non solo alla memoria storica, ma anche alle dinamiche attuali. Le recenti dichiarazioni del cancelliere Friedrich Merz, che ha lasciato intendere una possibile partecipazione della Bundeswehr a operazioni militari, segnano un ulteriore passo verso un coinvolgimento diretto della Germania in conflitti non autorizzati dalle Nazioni Unite.
Dopo il precedente della guerra del Kosovo, si tratterebbe della seconda violazione in meno di trent’anni di quel principio di diritto internazionale che impone l’approvazione dell’ONU per l’uso della forza.
Il primo dei servi: tra Israele, Iran e un’Europa al traino
La Germania si candida così a diventare “il primo dei servi” nel nuovo ordine atlantico. Con un governo guidato da un uomo legato agli ambienti della grande finanza statunitense — Friedrich Merz, già figura di punta in BlackRock — Berlino appare pronta ad abbracciare senza riserve le posizioni più estreme di Washington e Tel Aviv.
L’adesione tedesca alla narrativa bellicista sull’Iran, senza alcuna verifica indipendente, non è solo una forma di fedeltà agli alleati, ma anche un segnale inquietante: la disponibilità a farsi strumento operativo di politiche aggressive, perfino genocidarie, come nel caso della guerra contro Gaza.
In questo contesto, il gesto di disprezzo rivolto da Donald Trump a Emmanuel Macron — nonostante la scarsa simpatia che il presidente francese può suscitare — assume un significato emblematico. L’ex presidente americano ha voluto chiarire pubblicamente cosa ci si aspetta oggi da un “buon alleato”: non timide voci dissonanti, ma una subordinazione piena, operativa, militare. E la Germania pare rispondere con entusiasmo, disposta a sacrificare il proprio passato, la propria reputazione e la propria indipendenza pur di guadagnarsi il titolo di partner privilegiato.
Ciò che sta emergendo è un pericoloso paradosso: la Germania, un tempo disarmata per evitare nuove derive imperiali, torna oggi sulla scena armata, ma non autonoma. Non in nome dell’Europa, non in nome della pace, ma come braccio operativo delle decisioni altrui.
È in questa postura che Berlino rischia di sedersi, ancora una volta, dalla parte sbagliata della storia. Dopo essere stata protagonista di uno dei peggiori crimini del Novecento — il genocidio degli ebrei — oggi rischia di divenire complice silenziosa (o attiva) del genocidio contro i palestinesi, in una guerra frammentata che papa Francesco definì con lucidità “la terza guerra mondiale a pezzi”.
Il popolo tedesco, che tanto ha fatto per redimere la propria memoria e costruire una cultura della responsabilità, ha oggi una nuova sfida: impedire che il proprio governo, in cerca di prestigio e riconoscimento presso i centri del potere occidentale, si renda complice di nuove catastrofi. La storia, ancora una volta, si muove. Sta ai cittadini decidere se lasciarla scorrere o provare a deviarne il corso.
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