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Agadez, il centro della vergogna: l’appello disperato dei rifugiati dimenticati

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Nel centro “umanitario” di Agadez, migliaia di rifugiati sudanesi vivono da anni in condizioni disumane. Denunciano abbandono, abusi e mancanza di cure. “Il nostro presente è brutto e il nostro futuro ignoto.” Le proteste continuano, il silenzio delle istituzioni pure.

Appello urgente dei rifugiati ospitati nel Centro Umanitario di Agadez, Niger.

Destinatari l’UNHCR e la comunità internazionale: Il nostro passato è triste, il nostro presente è brutto e il nostro futuro è ignoto, quindi non vogliamo restare qui!

Una coalizione di organizzazioni per i diritti umani ha inviato un appello urgente all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) riguardo alle allarmanti condizioni di un cosiddetto centro “umanitario” situato a circa 15 chilometri da Agadez, nel Niger settentrionale.

La struttura, che ospita principalmente rifugiati dal Sudan e da altre zone di conflitto, è stata teatro di continue proteste per oltre 200 giorni a causa di segnalazioni di condizioni di vita inadeguate.

“Né possiamo restare, né possiamo tornare”

Le manifestazioni pacifiche in corso presso il centro nascono da una situazione di profonda disperazione. Da oltre sette anni, migliaia di persone fuggite principalmente dalle violenze in Sudan, ma anche da Ciad ed Eritrea, vivono in quello che molti descrivono come “una prigione a cielo aperto”. Lontano dall’essere un rifugio, questa remota struttura nel deserto si è trasformata in una zona di contenimento dove chi cerca protezione rimane intrappolato senza prospettive concrete per il futuro.

Il 22 novembre 2024, esausti per la loro condizione, i rifugiati hanno inviato una commovente lettera aperta all’UNHCR e alla comunità internazionale: “Siamo intrappolati tra una patria dove è impossibile fare ritorno e un centro umanitario dove è impossibile vivere. Il mondo ci vede ma non ascolta le nostre grida, come se fossimo solo numeri in attesa, dimenticati nell’ombra di crisi che fanno più notizia”. Da allora però nulla sembra essere cambiato.

Gravi carenze sanitarie e conseguenti tragici incidenti

Secondo le testimonianze raccolte dalle organizzazioni, questa struttura—finanziata dall’Italia e da altre nazioni europee—non dispone di personale medico permanente nonostante sia isolata in territorio desertico. Questa grave lacuna nell’assistenza sanitaria ha portato a conseguenze tragiche.

La settimana scorsa, una rifugiata di 29 anni ha avuto un’emergenza medica durante le ore notturne. A causa delle restrizioni che impediscono gli spostamenti dopo il tramonto, gli altri rifugiati sono stati costretti ad attendere fino al mattino per organizzare il trasporto verso un ospedale. Purtroppo, questo ritardo ha comportato la morte della donna.

In un altro inquietante episodio di soli due giorni fa, un rifugiato che cercava assistenza medica si è visto inizialmente negare il ricovero ospedaliero con l’indicazione di tornare alla struttura UNHCR. Nel tentativo di adempiere a tali istruzioni, il rifugiato è crollato nelle strade di Agadez ed è stato successivamente trasportato nuovamente in ospedale in ambulanza.

Secondo i racconti dei testimoni, il paziente ha atteso ore per ricevere cure mediche mentre sanguinava, ottenendo alla fine solo liquidi per via endovenosa. La situazione è apparentemente peggiorata quando il rifugiato è stato trasferito in un altro reparto ospedaliero dove ha ricevuto un trattamento minimo—principalmente flebo e sedativi—prima di cadere in coma e necessitare di supporto ventilatorio.

Richieste inascoltate per diritti fondamentali

“Non chiediamo altro che una vita dignitosa che preservi la nostra umanità,” scrivono i rifugiati nella loro lettera. “Rivendichiamo diritti basilari: assistenza sanitaria adeguata, istruzione per i nostri figli e sicurezza per le nostre donne.”

Le proteste sono iniziate il 22 settembre 2024 e continueranno, affermano i rifugiati, fino a quando le loro “semplici richieste” non saranno soddisfatte. “Il centro umanitario di Agadez è diventato una morte lenta,” dichiarano nella loro petizione, “e una soluzione non può più essere rinviata.”

Un contesto di crisi prolungata

La crisi attuale ha radici profonde. Dal 2019, numerose proteste sono scoppiate nella struttura, iniziando con una marcia di minori rifugiati verso il confine libico nel luglio di quell’anno. Tra dicembre 2019 e gennaio 2020, i residenti rifugiati hanno organizzato una manifestazione continua fuori dagli uffici UNHCR che si è conclusa con l’intervento della polizia, incendi alle strutture del campo e l’arresto di centinaia di persone, con 111 persone che hanno affrontato conseguenze legali invece di ricevere assistenza per le loro proteste.

L’autunno 2024 ha visto un’intensificazione delle manifestazioni a causa del peggioramento degli standard di vita. Secondo le dichiarazioni della stessa UNHCR, i buoni alimentari sono stati sospesi per i partecipanti alle proteste su richiesta delle autorità nigerine, aggravando ulteriormente la situazione.

Deportazioni illegali: un problema regionale

La lettera della coalizione evidenzia anche preoccupanti modelli di deportazioni illegali lungo le rotte migratorie in Africa. Solo nel 2024, oltre 30.000 persone sarebbero state deportate dall’Algeria al Niger, spesso abbandonate in aree desertiche.

Anche la Tunisia ha aumentato gli arresti e le rimozioni forzate verso i confini algerini e libici dal 2023, con molti migranti successivamente trasferiti in Niger. Le organizzazioni firmatarie sostengono che queste pratiche violano il diritto internazionale mentre vengono mascherate come operazioni umanitarie, talvolta con l’approvazione tacita delle agenzie internazionali.

Appello alle istituzioni internazionali

A seguito di tutto ciò, le organizzazioni hanno emesso richieste specifiche all’UNHCR, tra cui: cessare immediatamente le intimidazioni contro i manifestanti pacifici; fornire informazioni chiare sulle soluzioni realistiche a lungo termine; garantire rappresentanza legale per otto persone di genere maschile arrestate durante le manifestazioni; sostenere canali appropriati di reinsediamento; assumere posizioni ferme contro le deportazioni illegali dai Paesi vicini.

Inoltre, chiedono all’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani e ai Relatori Speciali di esigere che l’Unione Europea e gli Stati membri pongano fine alle pressioni sui Paesi di transito per attuare politiche di deterrenza che sfociano in violazioni dei diritti umani, e di sospendere i finanziamenti per tali iniziative.

“Non lasciate che il mondo ci dimentichi,” concludono i rifugiati nel loro appello. “Siamo esseri umani, abbiamo diritto a una vita dignitosa.”

 

 

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Eugenio Cardi
Eugenio Cardi
Scrittore, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato ad oggi dodici romanzi, pubblicati in Italia e all’estero

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