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Il Ruanda cresce a ritmi record, ma dietro il “modello africano” si cela un regime autoritario, tensioni con Congo e Burundi e repressione interna. Il paradosso ruandese: boom economico e ambizioni globali tra guerre per procura e democrazia sospesa.
Ruanda: crescita economica e tensioni regionali
Di tanto in tanto, nel bel mezzo di mille guerre, conflitti e tragedie perlopiù evitabili, se solo si usasse un minimo di buon senso, arriva anche qualche buona notizia, seppur bisogna cercarle con il lanternino, soprattutto di questi tempi, dove “aggredire-bombardare-sopprimere” son divenute coniugazioni quotidiane alle quali purtroppo stiamo facendo l’abitudine.
Ad ogni modo in questo caso la buona notizia – o almeno una mezza buona notizia – arriva addirittura dal Ruanda (Stato dell’Africa centrale, sito ad est della Repubblica Democratica del Congo), che tutti noi ricordiamo per via del genocidio compiuto poco più di trent’anni fa contro la comunità tutsi (persero la vita in quel frangente terribile circa un milione di persone).
La mezza buona notizia è che il Ruanda è cambiato moltissimo da allora, in modo quasi incredibile, divenendo addirittura un Paese-modello. Infatti il Ruanda si posiziona come una delle economie africane più dinamiche nel 2025: la sua economia ha registrato nel corso del 2023 un tasso di crescita pari all’8,2%, ed ha continuato a registrare una crescita robusta anche nel 2024, con un tasso di crescita dell’8,9 percento, superando le aspettative in un contesto globale sfidante.
Gli esperti prevedono che questa tendenza positiva continui, con una crescita del PIL che dovrebbe mantenere slancio nel 2025-27, con una media prevista del 7,1%, sostenuta dall’espansione continua in agricoltura, servizi e industria.
Il settore dei servizi, le costruzioni e la produzione alimentare sono stati i principali motori di questa performance eccezionale. Tuttavia, e questa è l’altra parte della notizia, quella meno buona, il Paese deve affrontare crescenti tensioni regionali, in particolare con il Congo orientale e il Burundi.
Il presidente Paul Kagame è stato rieletto nel luglio 2024 – per la quarta volta consecutiva – con il 99,2 percento dei voti, secondo i risultati ufficiali, ottenendo così un quarto mandato presidenziale. Gli altri due candidati autorizzati a concorrere alla Presidenza del Paese hanno ottenuto percentuali insignificanti: Frank Habineza del Partito Verde Democratico del Ruanda (DGPR) e Philippe Mpayimana, un indipendente, hanno rispettivamente raggiunto lo 0,5 percento e lo 0,3 percento.
Le modifiche costituzionali del 2015 hanno permesso a Kagame di prolungare potenzialmente il suo governo fino al 2034. Figure prominenti dell’opposizione come Victoire Ingabire Umuhoza e Diane Rwigara sono state tra quelle squalificate dalla corsa.
Il problema di tale governance è l’aggressività guerrafondaia verso Paesi limitrofi: il Ruanda è infatti purtroppo coinvolto in un complesso conflitto nella Repubblica Democratica del Congo orientale, dove sostiene il gruppo ribelle M23. Il Ruanda ha inviato tra 7.000 e 12.000 soldati nel Congo orientale per sostenere i ribelli M23, secondo analisti e diplomatici, dopo che il gruppo ribelle ha conquistato le due città più grandi della regione in un’avanzata fulminea.
Il Ruanda ha a lungo negato di fornire armi e truppe all’M23, sostenendo che le sue forze stanno agendo per autodifesa contro l’esercito del Congo e contro le milizie etniche hutu legate al genocidio del 1994. Gli Stati Uniti stanno provando a mediare colloqui tra Congo e Ruanda, con un progetto di accordo di pace che prevede il ritiro obbligatorio delle truppe ruandesi come condizione di base per la firma.
Ma non finisce qui, dato che le tensioni si estendono anche al Burundi, con il Presidente di detto Stato – Evariste Ndayishimiye – che ha affermato di aver avuto notizie credibili da voci di intelligence relative ad un piano del Ruanda per attaccare il suo Paese. Accuse che però sono state respinte dal Ruanda, che chiede di instaurare un dialogo tra i due Paesi per risolvere le controversie sul tavolo.
Ad ogni modo questione assai complicata anche questa, dato che le forze del Burundi hanno combattuto contro i ribelli sostenuti dal Ruanda nella vicina Repubblica Democratica del Congo, intensificando ulteriormente le tensioni regionali.
Nonostante la crescita economica impressionante, il Ruanda affronta quindi critiche pesanti per via delle sue pratiche di governance. Ma non solo: anche sul piano interno, il governo continua a sopprimere il dissenso politico attraverso sorveglianza pervasiva, intimidazione, detenzione arbitraria, tortura.
Il controllo sui media rimane stretto, con molti giornalisti ruandesi costretti a lasciare il Paese e a lavorare in esilio. Le restrizioni sui viaggi per funzionari governativi e membri dell’opposizione evidenziano ulteriormente le limitazioni delle libertà civili.
Inoltre, nonostante i successi economici, il Ruanda deve affrontare altre sfide significative: 1) Alti livelli di debito pubblico (che secondo previsioni dovrebbe raggiungere l’80% del PIL nel 2025), 2) scarsa attenzione ai cambiamenti climatici e 3) crescente pressione sulle risorse naturali. Tutto ciò complicherà il raggiungimento degli obiettivi prefissi, ovvero di divenire un Paese a Reddito Medio-Alto entro il 2035 e un Paese ad Alto Reddito entro il 2050.
Infine la creazione di posti di lavoro resta sensibilmente insufficiente e il livello di produttività resta basso, riflettendo carenze infrastrutturali, progressi limitati nell’innovazione e efficienza allocativa sub-ottimale. Superare queste sfide richiederà una maggiore dipendenza dagli investimenti del settore privato per migliorare la crescita della produttività, aumentare i redditi e fornire i finanziamenti necessari per affrontare le carenze infrastrutturali.
In conclusione, il Ruanda nel 2025 rappresenta chiaramente un paradosso dello sviluppo africano: da un lato, è una delle economie più dinamiche del continente con partnership internazionali strategiche e ambiziosi piani climatici; dall’altro resta però un regime sempre più autoritario coinvolto in conflitti regionali che minacciano la stabilità dell’Africa orientale. La capacità del Paese di bilanciare crescita economica, stabilità interna e relazioni regionali determinerà il suo futuro ruolo di modello di sviluppo per l’Africa.
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