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Negli USA e in Europa cresce un nuovo maccartismo: con il Project Esther, sostenere la Palestina diventa reato. L’inchiesta del NYT svela un piano per criminalizzare il dissenso, silenziare le università e schedare attivisti. Criticare Israele è “terrorismo”.
Project Esther: la caccia all’antisemitismo è un nuovo maccartismo globale
Negli Stati Uniti, come in Italia e altrove, la stigmatizzazione sistematica del movimento pro-palestinese si sta configurando sempre più chiaramente come una strategia coordinata per criminalizzare il dissenso politico. Accuse di antisemitismo, spesso infondate e strumentali, vengono utilizzate come armi retoriche e disciplinari contro chiunque osi criticare le politiche dello Stato di Israele.
Quello che per mesi era sembrato un sospetto fondato – ovvero che si trattasse di una campagna condivisa tra ambienti conservatori americani ed europei – ha trovato conferma in un’inchiesta pubblicata dal New York Times a firma della giornalista Katie J.M. Baker.
L’indagine rivela l’esistenza di un documento strategico redatto alla fine del 2023 dal think tank ultraconservatore Heritage Foundation, già noto per il “Project 2025” di ristrutturazione radicale dello Stato federale in senso autoritario.
Il nuovo piano, denominato Project Esther, è concepito come una guida operativa per smantellare il movimento pro-Palestina nelle università americane e tra le associazioni progressiste. Un’iniziativa che rivela la volontà politica di identificare il sostegno ai diritti dei palestinesi non solo come una posizione scomoda, ma come una minaccia da eliminare.
Manuale di repressione mascherato da lotta all’odio
Il nome del piano richiama la figura biblica della regina Ester, salvatrice del popolo ebraico da uno sterminio nel regno persiano. Ma in questo contesto l’evocazione è profondamente distorta. Il documento, infatti, delinea una vera e propria operazione repressiva, basata sulla sistematica assimilazione tra critiche al governo israeliano e antisemitismo. Il principio cardine è semplice quanto pericoloso: ogni voce contraria all’offensiva di Israele a Gaza dev’essere tacciata di “sostegno al terrorismo”.
Il Project Esther consiglia esplicitamente di definire il movimento pro-Palestina come una rete di supporto a gruppi terroristici, con l’obiettivo di giustificare licenziamenti, denunce, ostracismo sociale, espulsioni da campus e, nei casi di studenti stranieri, la revoca dei visti e la deportazione.
Le proteste universitarie pacifiche vengono così trasformate, nella narrazione ufficiale, in centri di propaganda terroristica. Una tecnica retorica e operativa che ricorda da vicino il COINTELPRO dell’FBI negli anni Sessanta, che aveva preso di mira i movimenti per i diritti civili, i sindacati e gli oppositori della guerra in Vietnam.
Nel mirino non ci sono solo attivisti e studenti arabi o musulmani, ma anche intellettuali ebrei critici verso la politica israeliana, come Bernie Sanders, George Soros, o organizzazioni pacifiste come Jewish Voices for Peace. L’Anti-Defamation League ha persino incluso tra gli “atti antisemiti” slogan come “Free Palestine”, contribuendo a generare un’impennata artificiosa nelle statistiche di presunto antisemitismo.
Molte delle misure previste dal Project Esther – tra cui la revoca dei fondi federali alle università “complici”, la rimozione di docenti considerati “antisemiti”, la censura preventiva sui social media e la criminalizzazione delle ONG filo-palestinesi – sono già in fase avanzata di attuazione. Alcune disposizioni sono state inserite nella legge finanziaria in discussione al Senato statunitense. Nel frattempo, l’amministrazione Biden, pur proclamandosi progressista, ha di fatto sostenuto parte dell’implementazione del piano, cedendo alle pressioni delle lobby sioniste come l’AIPAC.
Un ulteriore segnale di questa pericolosa deriva è la nomina ad ambasciatore in Israele di Mike Huckabee, pastore evangelico e fanatico sostenitore del dominio biblico ebraico sulla Cisgiordania. Huckabee rappresenta la fusione tra fondamentalismo cristiano e sionismo militante, un’alleanza che alimenta la violenza dei coloni, giustifica l’occupazione e, ora, orienta direttamente la politica estera americana.
Dal boicottaggio all’inquisizione
Il prossimo passo sarà, come anticipa il piano, l’introduzione di leggi federali contro i boicottaggi anti-israeliani, con sanzioni fiscali per le ONG critiche verso Tel Aviv. Parallelamente, gruppi paramilitari come Betar, con legami diretti con l’esercito israeliano, collaborano con il Dipartimento di Stato nella schedatura degli attivisti americani, in un clima che ricorda sinistramente l’inizio di una caccia alle streghe.
“Il movimento per Gaza non costituisce una minaccia solo a Israele o al popolo ebraico, ma è un pericolo per le fondamenta degli Stati Uniti,” ha dichiarato Victoria Coates, coordinatrice di Project Esther. Una frase rivelatrice, che chiarisce come la questione palestinese venga oggi usata come banco di prova per un nuovo ordine repressivo globale, in cui l’opinione critica diventa reato, e la solidarietà un sospetto da estirpare.
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