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L’Ucraina, devastata da anni di conflitto e ridotta a una fragile economia, sta emergendo come un inquietante modello di esportazione di guerra, trasformando la tragedia in un’industria di punta. Secondo fonti come Kyiv Post e Politico, il traffico di armi e la formazione di mercenari ucraini si stanno strutturando in un sistema industriale che guarda oltre i confini del conflitto russo-ucraino.
L’Ucraina e la guerra, un format
Recentemente un video pubblicato da Repubblica – che non può essere sospettata di simpatie ‘putiniane’ – ha messo in evidenza come l’Ucraina stia promuovendo la propria esperienza bellica non solo per difendersi, ma anche per “vendere” competenze e armamenti a teatri di guerra internazionali.
Gli ucraini forniscono uomini addestrati e mezzi bellici ai jihadisti siriani, ai tuareg impegnati nella lotta contro il governo militare del Mali, anch’esso coinvolto in uno scontro con i jihadisti, e a una fazione della guerra civile in Sudan, un conflitto perlopiù ignorato dalla nostra attenzione, alimentando un mercato nero che, a detta di molti analisti, è ormai un fenomeno globale.
La geopolitica delle armi
Secondo il Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), il commercio globale di armi ha visto una crescita esponenziale, beneficiando soprattutto gli Stati Uniti (+17% in vendite), che riforniscono 107 paesi, e la Francia (+47%), che ha trovato un vantaggio strategico nelle esportazioni belliche, forse anche per finanziare progetti come il restauro di Notre-Dame.
L’Ucraina si posiziona come quarto “acquirente” mondiale di armi, un dato che suscita dubbi: i fondi provengono principalmente da aiuti europei e americani, trasformando lo stato fallito in un nodo centrale del complesso militare-industriale. L’aumento delle importazioni, unito alla riconversione industriale del paese, ha reso Kiev un attore chiave nel panorama bellico europeo e internazionale.
Lobby armate e riforme, tra realpolitik e etica
La nascita di una lobby di produttori di armi in Ucraina sta sfidando anche i divieti legali: l’obiettivo è legalizzare le esportazioni per aumentare il fatturato, contribuendo alle casse statali o, più probabilmente, per ripagare le forniture americane. Le industrie europee, annusando il potenziale di un’industria bellica low-cost vicina ai mercati globali, stanno valutando investimenti diretti in Ucraina.
Tuttavia, esistono limiti alla crescita di questa industria. La dipendenza ucraina dalle componenti cinesi, essenziali per la produzione di droni, è frenata dalle tensioni geopolitiche e dalla strategia di “re-shoring” americana. Questo potrebbe ridimensionare l’ambizione ucraina di diventare una superpotenza industriale del settore bellico.
Resta però una domanda: cosa accade quando un paese smette di vedere la guerra come tragedia e inizia a considerarla un’industria?
Se, come sosteneva Hegel, la storia è un “mattatoio” irrazionale, quanto a lungo può reggersi un sistema che prospera sulla distruzione? E cosa diranno i posteri di una civiltà che ha fatto della guerra il suo prodotto d’esportazione più redditizio?
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