www.kulturjam.it è un quotidiano online indipendente completamente autofinanziato. Il nostro lavoro di informazione viene costantemente boicottato dagli algoritmi dei social. Per seguirci senza censure, oltre alla ricerca diretta sul nostro sito, iscrivetevi al nostro canale Telegram o alla newsletter settimanale.
L’attacco all’Iran svela un nuovo fronte della guerra mondiale “a pezzi”. Dietro Israele e USA, l’obiettivo è la Cina. Pechino risponde senza combattere: logora l’Occidente con pazienza strategica. Il conflitto globale non esplode, si consuma. E la pace conviene.
La guerra mondiale a pezzi: l’attacco all’Iran come snodo strategico
Lo spettro di una terza guerra mondiale non si presenta più sotto forma di una dichiarazione ufficiale, con mobilitazioni sincrone e fronti netti. Il conflitto contemporaneo si consuma per frammenti, a zone, per logoramento: Papa Francesco la definì “guerra mondiale a pezzi”, con lucidità non solo profetica ma anche informata.
L’attacco israeliano all’Iran apre un ulteriore varco in questo mosaico bellico, già composto da crisi prolungate come quelle in Ucraina, Gaza, Yemen, e nel Sahel africano. Ma questa nuova escalation, nel cuore del Medio Oriente, ha implicazioni che travalicano la dimensione regionale. L’obiettivo non è solo Teheran. Il bersaglio più ampio — e strategico — è Pechino.
L’Iran costituisce per la Cina una risorsa vitale sotto molteplici aspetti. Non solo fornisce greggio a prezzi compatibili con le esigenze cinesi e fuori dalla sfera d’influenza statunitense, ma è anche un nodo cruciale lungo la Nuova Via della Seta, l’infrastruttura logistica e commerciale con cui Pechino sta ridisegnando l’equilibrio economico globale.
Colpire Teheran significa dunque compromettere l’autonomia energetica cinese, minare una dorsale commerciale eurasiatica alternativa al dominio anglosassone e, indirettamente, costringere la Cina a fare i conti con le sue stesse vulnerabilità geopolitiche.
Ma Pechino, esperta nella pazienza strategica e nell’arte del rovesciamento delle forze avversarie, non si farà trascinare in un conflitto diretto: sosterrà Teheran nell’ombra, lasciando che a combattere siano gli iraniani, consapevole che ogni missile lanciato dalla NATO nel deserto mediorientale è una risorsa bruciata in meno da temere altrove.
Una strategia per logoramento: economia, consenso e arsenali sotto pressione
La progressiva estensione del conflitto mediorientale ha, secondo questa visione, una funzione precisa: svuotare dall’interno le capacità occidentali di sostenere una guerra lunga e costosa. Gli Stati Uniti, pur formalmente egemoni, si trovano in uno stato di crescente fragilità strutturale: il debito pubblico è esplosivo, le divisioni interne al limite della frattura sociale, e il consenso politico verso nuove guerre in costante erosione.
L’Europa, dal canto suo, mostra segnali di affaticamento: le sue economie sono appesantite dalla crisi energetica e dalla stagnazione, i sistemi di difesa appaiono inadeguati, e l’opinione pubblica sempre più restia a farsi coinvolgere in nuove avventure militari.
In questo contesto, una guerra mediorientale ad alta intensità rappresenta per la NATO una trappola. Ogni missile lanciato contro Teheran, ogni batteria antiaerea messa in funzione, logora arsenali già in difficoltà di approvvigionamento.
Le immagini notturne dei sistemi Iron Dome israeliani costretti a intercettare attacchi a raffica o a colpire obiettivi fantasma sono simboliche di una guerra destinata a consumare risorse più che a consolidare vittorie.
Inoltre, mentre l’attenzione mediatica si concentra sull’Iran, in Ucraina si profila uno scenario di resa programmata: la guerra, lì, sembra entrata nella sua fase terminale. La resistenza ucraina rischia di essere sacrificata sull’altare della grande riconciliazione geopolitica tra Washington e Mosca, sotto la spinta confusionaria di Donald Trump.
E se l’Europa volesse evitarlo, avrebbe davanti a sé due sole opzioni: inviare truppe di terra — ipotesi che appare impraticabile — o colpire direttamente la Russia. Ma quest’ultima eventualità, per chi volesse scommettere, comporterebbe una risposta immediata e devastante. Il messaggio, secondo questa prospettiva, è arrivato: il vento è cambiato e il fronte atlantico non ha più la supremazia.
L’arte della guerra cinese e l’usura dell’avversario
Dietro la postura apparentemente defilata della Cina si cela una logica marziale antichissima: logorare il nemico con la sua stessa forza, evitare lo scontro frontale, preparare la vittoria nella lunga durata.
Il dragone asiatico ha scelto di appoggiare l’Iran senza compromettere i delicati equilibri con le monarchie arabe o con i partner occidentali. Nessun soldato cinese calcherà il suolo mediorientale, ma le rotte alternative, le forniture parallele, la tecnologia dual-use e il sostegno politico-strategico saranno garantiti.
Nel frattempo, gli Stati Uniti e i loro alleati continuano a esaurire le proprie riserve — militari, finanziarie, ma anche simboliche. L’idea stessa di leadership globale occidentale è in crisi: la guerra a pezzi non è solo una successione di scontri, ma il progressivo disfacimento di una centralità che, fino a pochi anni fa, appariva indiscutibile.
La Cina, senza colpire apertamente, favorisce questo processo: si presenta come partner credibile per il Sud globale, come mediatore non allineato, come potenza paziente. E mentre i carri armati bruciano carburante e consenso sotto il sole mediorientale, Pechino continua ad avanzare sul piano economico e diplomatico.
Verso una nuova logica del conflitto
Il conflitto globale contemporaneo non si sviluppa secondo le coordinate novecentesche. Non si tratta più di alleanze dichiarate, invasioni di massa, fronti chiari. È piuttosto un sistema di guerre sincronizzate e interdipendenti, che si nutrono dell’instabilità e la generano. La guerra mondiale a pezzi è già in corso, e non è detto che si coaguli in una terza guerra mondiale nel senso classico del termine: l’unificazione dei “pezzi” è possibile, ma non necessaria. Tuttavia, i costi per chi la alimenta sono sempre più alti, e la Cina sembra saperlo meglio degli altri.
La pace — si dice — conviene. Non per idealismo, ma per calcolo. Perché l’alternativa è una caduta sistemica, un rovinoso sbattere contro un muro di realtà. Se le potenze occidentali continueranno a disperdere risorse in teatri dove non possono più vincere, saranno loro a pagare il prezzo più alto. Il conflitto sarà allora, davvero, il modo in cui si consumerà il declino dell’egemonia atlantica. E commentarlo sui social potrebbe diventare il massimo grado di partecipazione possibile per le opinioni pubbliche occidentali: spettatori impotenti di una guerra che si gioca altrove ma che li riguarda da vicino.
Sostieni Kulturjam
Kulturjam.it è un quotidiano indipendente senza finanziamenti, completamente gratuito.
I nostri articoli sono gratuiti e lo saranno sempre. Nessun abbonamento.
Se vuoi sostenerci e aiutarci a crescere, nessuna donazione, ma puoi acquistare i nostri gadget.
Sostieni Kulturjam, sostieni l’informazione libera e indipendente.
VAI AL NOSTRO BOOKSTORE
E PER I NOSTRI GADGET CLICCA SUL LINK – https://edizioni.kulturjam.it/negozio/
Leggi anche
- Israele senza maschera: la trasparenza del genocidio
- L’embargo USA contro Cuba: una reliquia della guerra fredda che danneggia solo il popolo
- L’Eternauta: un capolavoro del fumetto e della memoria
- “Israele contro Hamas”: il bestseller perfetto secondo le regole della narrazione
E ti consigliamo
- Shidda
- Noisetuners
- Novecento e oggi
- A sud dell’impero. Breve storia della relazione sino-vietnamita
- Sintropie. Mondo e Nuovo Mondo
- Musikkeller, un luogo-non luogo
- Breve guida per riconoscere il “coatto”
- Achab. Gli occhi di Argo sul carcere
- La terra di Itzamnà: alla scoperta del Guatemala
- Dittature. Tutto quanto fa spettacolo: si può essere ironici su temi serissimi e al contempo fare opera di informazione e presidio della memoria?
- Il soffione boracifero: ritorna dopo 10 anni il romanzo cult
- Cartoline da Salò, nel vortice del presente