Quotidiano on-line ®

22 C
Rome
lunedì, Luglio 14, 2025
Mastodon

La fine della parola: il mondo dopo l’attacco israeliano all’Iran

www.kulturjam.it è un quotidiano online indipendente completamente autofinanziato. Il nostro lavoro di informazione viene costantemente boicottato dagli algoritmi dei social. Per seguirci senza censure, oltre alla ricerca diretta sul nostro sito, iscrivetevi al nostro canale Telegram o alla newsletter settimanale.

Dopo l’attacco israeliano all’Iran, il mondo affronta una nuova fase di violenza illimitata. L’Occidente, guidato da élite irresponsabili, ha perso ogni credibilità globale. Cresce l’instabilità, mentre il linguaggio della forza sostituisce quello della diplomazia.

Il mondo dopo l’attacco israeliano all’Iran

L’attacco israeliano all’Iran, avvenuto durante i colloqui sul nucleare tra Washington e Teheran, dunque una vera e propria “aggressione a freddo”, segna una nuova e drammatica fase della crisi mediorientale e, più in generale, della geopolitica globale. La risposta iraniana, rapida e proporzionata, ha avuto il duplice effetto di dimostrare la capacità difensiva dei persiani e di ribadire la centralità del conflitto israelo-iraniano nello scacchiere mondiale. Ma al di là delle dinamiche immediate e delle reazioni diplomatiche, il conflitto ha rivelato — e forse accelerato — una serie di tendenze che già da tempo minavano la stabilità dell’ordine internazionale.

A emergere con chiarezza è un quadro in cui l’Occidente, a guida statunitense, si trova in una traiettoria di progressiva radicalizzazione e perdita di credibilità, sia agli occhi del mondo che al proprio interno. Le promesse di pacificazione e rilancio economico, sbandierate da Donald Trump e successivamente disattese, sono soltanto l’ennesimo esempio di un potere politico che non governa più, ma obbedisce.

Le guerre asimmetriche, i doppi standard, la crescente deresponsabilizzazione delle élite sono i sintomi visibili di una crisi sistemica che investe l’intero impianto occidentale.

Trump, l’illusione interrotta e la deriva oligarchica

Il caso Trump rappresenta emblematicamente il fallimento di un’illusione: quella di un ritorno all’isolazionismo e alla restaurazione di un’America centrata su se stessa. Le promesse di distensione internazionale, i tentativi di frenare il complesso militare-industriale e di riportare l’economia sul territorio nazionale si sono infranti contro i veri centri di potere, che si collocano al di fuori delle istituzioni democratiche.

Non si tratta di evocare il fantasma del “Deep State”, ma di riconoscere come oggi la politica occidentale sia semplicemente una funzione del potere finanziario globale, gestito da un’élite transnazionale priva di volto e di responsabilità.

A questa logica risponde anche la continua escalation militare: ogni crisi, anziché essere risolta, viene rilanciata, nella speranza di un colpo finale che possa rimettere in equilibrio il sistema. È la logica del giocatore d’azzardo, che, pur sapendo di aver perso, continua a rilanciare nella speranza di recuperare tutto in un’unica mano.

Israele incarna perfettamente questa dinamica: travolto da una crisi interna senza precedenti, paralizzato da instabilità politica cronica e tensioni sociali, ha scelto la scorciatoia della guerra permanente. Gaza, Libano, Siria, Iran: ogni nuovo fronte aperto è un tentativo disperato di riconquistare una centralità ormai sfuggente.

Ma Israele, come sottolineano le stesse dinamiche in Europa orientale, non è un’eccezione. La politica estera dell’Unione Europea verso la Russia segue lo stesso schema: provocazioni, sanzioni, militarizzazione, impoverimento della popolazione, crisi energetica.

Una sequenza di decisioni che appaiono irrazionali se giudicate con il metro dell’interesse nazionale, ma che assumono coerenza se si considera che chi decide non risponde più a quell’interesse, bensì ad agende sovranazionali.

L’assenza di responsabilità, di rendicontazione pubblica, di visione a lungo termine, sta portando l’Occidente a una forma di necrosi politica. La classe dirigente, trasformata in un insieme di pupazzi mediatici — da Trump a Macron, da Baerbock a Starmer — recita un copione scritto altrove, alimentando una narrazione priva di legittimità.

La conseguenza è la totale sfiducia del resto del mondo nei confronti delle istituzioni occidentali, che appaiono sempre più come comparse, e sempre meno come interlocutori affidabili.

La fine della parola e il ritorno della forza

Se il primo effetto dell’attacco israeliano all’Iran è la sua valenza militare e simbolica, il secondo è la conferma definitiva della rottura epistemologica tra l’Occidente e il resto del mondo. Nessuno, fuori dall’area atlantica, prende più sul serio le dichiarazioni delle cancellerie europee o delle amministrazioni americane. Gli accordi, un tempo fondati su equilibri di potere e su una minima affidabilità diplomatica, sono oggi carta straccia.

In questo contesto, la parola ha perso valore. L’elemento linguistico, che per secoli ha costituito il fondamento della diplomazia e del diritto internazionale, è stato sostituito dalla violenza — esterna, nelle guerre, e interna, nei dispositivi di controllo sempre più autoritari. Quando la comunicazione è svuotata di credibilità, resta solo il linguaggio della forza. È ciò che sta accadendo in Medio Oriente, ma anche in Europa e in Asia, dove le tensioni tra Cina, Taiwan e Stati Uniti potrebbero costituire il prossimo anello della catena.

Il rischio più grave non è solo il conflitto in sé, ma la sua naturale tendenza ad allargarsi. L’attacco israeliano all’Iran non è stato percepito come un fatto isolato, ma come parte di una strategia occidentale più ampia e aggressiva, volta a mantenere il controllo su un ordine mondiale che ormai sfugge di mano.

La reazione iraniana è stata per ora contenuta, ma il messaggio lanciato è chiaro: il tempo delle ambiguità è finito. Le potenze emergenti — Cina, Russia, Iran — si stanno progressivamente coordinando, anche sul piano simbolico, per opporsi a quello che percepiscono come un impero decadente e imprevedibile.

In questo scenario, l’orizzonte non è quello della pacificazione ma della violenza illimitata, dove ogni sconfitta genera un nuovo rilancio, e ogni rilancio prepara il terreno al prossimo disastro. La crisi attuale non è un’eccezione, ma una tappa di un processo degenerativo. Il mondo post-occidentale non è più un’ipotesi: è la realtà che si sta costruendo, pezzo dopo pezzo, sulle macerie della fiducia e della ragione.

Sostieni Kulturjam

Kulturjam.it è un quotidiano indipendente senza finanziamenti, completamente gratuito.

I nostri articoli sono gratuiti e lo saranno sempre. Nessun abbonamento.
Se vuoi sostenerci e aiutarci a crescere, nessuna donazione, ma puoi acquistare i nostri gadget.

Sostieni Kulturjam, sostieni l’informazione libera e indipendente.

VAI AL NOSTRO BOOKSTORE

E PER I NOSTRI GADGET CLICCA SUL LINK – https://edizioni.kulturjam.it/negozio/

parole ribelli, menti libere

 

 

Zela Santi
Zela Santi
Intelligenza Artificiale involontaria. Peso intorno ai 75 kg

Ti potrebbe anche interessare

Seguici sui Social

spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img

Ultimi articoli