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Non c’è nulla di sbagliato nei movimenti per i diritti civili e individuali ma bisogna riconoscere il quadro in cui avvengono le lotte per non distorcere la realtà.
La lotta per i diritti civili e individuali
Ogni tanto finiamo dentro qualche delirio mediatico-comunicativo.
Queste rivalità creano spaccature sociali orizzontali su problemi reali, ma ingigantiti e guardati con ottica distorta.
Pulsioni diverse si mescolano e scontrano. L’impotenza elettorale è proiettata sulla cronaca nera, in una sorta di televoto.
Negli ultimi decenni abbiamo visto in Occidente l’affermarsi di un contrasto tra diritti sociali e civili.
Le due battaglie, che in buona parte del Novecento non erano state contraddittorie, con il mondo unipolare e la fine della Guerra Fredda lo sono diventate.
C’è una spiegazione teorica a tutto questo, i partiti comunisti o di ispirazione marxista, magari anche con buoni risultati elettorali, si sono trovati con un bel bagaglio di voti e potere, ma un vuoto ideologico.
Questo vacuum è stato riempito da una retorica dal sapore libertario compatibile con il capitalismo.
Siamo passati dalla visione “noi” facciamo politica, alla visione “io” faccio politica, io sono capace o non capace.
L’individuo diventa progetto esistenziale e di investimento. La partecipazione politica diventa occasionale (manifestazioni o eventi specifici), i gruppi vengono equiparati alle chiese (dimostrando un solipsismo ai limiti del maniacale, perché i gruppi politici richiedono una mediazione continua, l’opposto del conformismo).
Non esistono i fenomeni “naturali”, ma esistono delle dinamiche di potere, che come tali sono inserite in una cornice ideologica (i valori che costituiscono la visione del mondo comunitaria).
Il fenomeno sociale X può costituire un’opportunità di emancipazione per milioni di persone, ma di repressione nel movimento globale, specie se inserito in un momento di reazione.
Le dinamiche del sistema-mondo ci mostrano una sclerosi dell’egemonia USA, durante gli anni ’70 (sconfitta in Vietnam e Indocina, rivoluzione islamica in Iran, sandinisti in Nicaragua, vittorie delle sinistre in Europa occidentale, fine del fascismo in Spagna e Portogallo, svolta socialista in Angola e Mozambico, shock petrolifero).
La reazione forte e decisa fu il neoliberismo. Quella degli anni ’80 fu una svolta neo-reazionaria, per restaurare un ordine interno (rapporto di classe) e internazionale (decolonizzazione) iniquo (lo svuotamento della socialdemocrazia svedese e l’assassinio di Palme furono parte di questa fase).
Questo cappello serve ad inquadrare il problema dei movimenti.
Banalizzando tantissimo, Marx parlava di struttura (economia) e di sovrastruttura (tutto il resto). Ogni mutamento della prima è destinato a condizionare la seconda; il rapporto causa-effetto era probabilmente semplicistico (specie per le società pre-capitalistiche), ma forse si presta bene sul nostro mondo.
Non c’è nulla di sbagliato nei movimenti per i diritti individuali o civili (che sono parte del percorso di emancipazione singolare e collettiva che auspico per l’umanità), ma dobbiamo tener presente che questi avvengono in una cornice ideologica (di visione del mondo) neo-reazionaria, neoliberista, individualista.
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