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Due fronti, una partita: l’egemonia USA vacilla tra Ucraina e Medio Oriente

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Mentre Israele e Iran si scambiano colpi, l’Ucraina scompare dai radar. Gli USA, sotto pressione su due fronti. Russia e Cina osservano, pronti a colmare il vuoto. Il tempo diventa la variabile decisiva dello scontro globale.

L’egemonia USA vacilla tra Ucraina e Medio Oriente

Fino a poche settimane fa, il conflitto in Ucraina occupava stabilmente l’agenda mediatica e politica dell’Occidente. Il presidente Volodymyr Zelensky era onnipresente: al centro dei vertici internazionali, protagonista delle aperture dei telegiornali, interlocutore privilegiato di Washington e Bruxelles. Ma con l’improvviso attacco di Israele all’Iran, l’attenzione globale si è rapidamente spostata su un nuovo e più instabile fronte.

In appena tre giorni di scontro tra Tel Aviv e Teheran, la guerra ucraina è scivolata in secondo piano. I flussi di aiuti militari e finanziari, in particolare dagli Stati Uniti, hanno subito un rallentamento significativo. Anche le attività di intelligence, comprese quelle satellitari, sono state almeno in parte reindirizzate verso il Medio Oriente.

Di conseguenza, Kiev si ritrova oggi in una posizione più isolata e fragile, con il suo leader costretto a richiamare l’attenzione internazionale in un contesto ormai dominato da nuove priorità strategiche.

L’ossessione israeliana e il rischio della guerra totale

Per capire il cortocircuito attuale, bisogna guardare a chi comanda davvero nel rapporto tra Stati Uniti e Israele. Non è difficile: Washington non è l’ombrello di Tel Aviv, è semmai il suo ombrellone. Israele sa benissimo che da sola non può permettersi una guerra aperta e prolungata con l’Iran: ha bisogno di logistica, armamenti, intercettazioni e, soprattutto, della presenza fisica dello Zio Sam. Ecco perché Netanyahu ha avuto l’ardire di provocare Teheran ben sapendo che, in caso di reazione spropositata, potrà sempre contare su un intervento americano diretto.

Dall’altra parte, l’Iran ha risposto con una chirurgica strategia tit for tat — colpisci un centro di comando? Bene, ti colpisco un centro di comando. Tocchi un’infrastruttura energetica? Ti restituisco il favore, ma niente di più. Una risposta simmetrica, ragionata, proprio per non innescare un’escalation incontrollabile. Il messaggio è chiaro: possiamo farci male, ma non vogliamo la guerra totale. Almeno per ora.

Il gioco dei blocchi: BRICS, Pakistan e la tentazione multipolare

Tuttavia, sotto questa superficie di razionalità tattica, si muovono equilibri ben più profondi. Cina e Russia non possono permettersi una disfatta iraniana: significherebbe perdere una pedina chiave nel loro progetto di mondo multipolare. Mosca ha un trattato di cooperazione con Teheran; Pechino considera l’Iran un nodo vitale della nuova via della seta. Eppure, né la Russia né la Cina hanno basi militari prossime o confini condivisi con l’Iran. Qualsiasi sostegno, quindi, sarà visibile, rischioso, forse goffo.

Un possibile canale è il Pakistan: paese in buoni rapporti con la Russia, desideroso di entrare nei BRICS e poco felice all’idea di un Israele militarmente trionfante ai propri confini. Ma siamo ancora nel campo dell’improvvisazione: il fronte antioccidentale, a oggi, è più un’idea filosofica che un’alleanza operativa. E come tutte le idee, ha bisogno di tempo per diventare struttura.

Ed è proprio il tempo la variabile decisiva. Più il conflitto israelo-iraniano si prolunga, più si sgretola il fronte USA-Israele. Tel Aviv non regge livelli di distruzione simili a quelli che infligge. E più il tempo passa, più Russia e Cina potrebbero trovare vie praticabili per sostenere l’Iran — anche solo economicamente, tecnologicamente, attraverso vie terze.

Nel frattempo, la Russia guadagna spazio sul fronte ucraino. Con meno attenzioni e meno fondi americani, la posizione di Kiev si indebolisce a vista d’occhio. Il rischio per gli Stati Uniti è quello di trovarsi con due crisi strategiche in simultanea, e una doppia sconfitta sul groppone. In quel caso, il progetto di egemonia globale inizierebbe davvero a scricchiolare.

Il pericolo? Che l’amministrazione americana, ben consapevole di questa deriva, decida di tentare il colpo di mano: una provocazione, magari un attacco false flag, che giustifichi un’escalation diretta. La posta in gioco è troppo alta. E, come sempre, chi ha tutto da perdere è disposto a tutto.

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