Si stava meglio quando si stava peggio dice uno dei luoghi comuni più ardui da sfatare, ma il primo segno della senilità precoce è favoleggiare di antiche età dell’oro che non sono mai esistite. Ogni epoca ha i suoi giovani che non sono più quelli di una volta e le sue maleducazioni.
Si stava meglio quando si stava peggio
C’è un mito intramontabile che si riaffaccia continuamente nella percezione generale, quello della degenerazione dei tempi. Quel molto banalmente evocativo: in che tempi viviamo, signora mia!
A sentir la campana nostalgica, sembrerebbe di essersi lasciati alla spalle una fantasmagorica età dell’oro, per abbracciare un presente fatto di uomini senza più valori, famiglie disgregate, artisti senza talento e giovani sbandati.
Soprattutto giovani sbandati, vittime di egocentrismo, immoralità e vanità. Ma è davvero così?
Il mito dell’età dell’oro è una costante nella storia dell’umanità, che ama cullarsi nella visione di un glorioso passato in cui la vita era più a misura d’uomo e tutto andava bene.
Da sempre, in ogni epoca, passata l’età della spensieratezza, disgustati dalla brutalità dei tempi, vagheggiano una mitica epoca dorata, un passato lieto di cui non c’è traccia a ben vedere..
Giovenale, poeta latino, lamentava l’immoralità dei suoi tempi già nel I secolo d.C.!
In precedenza l’aveva già fatto Catone, severissimo censore della pochezza morale della sua epoca. E di esempi simili se ne trovano ad ogni secolo, tra poeti e intellettuali, allergici al loro presente e, in fondo, alla gioventù altrui.

Si stava meglio quando si stava peggio: non ci sono più i giovani di una volta
La storia occidentale, Italia in prima fila, sta cancellando i giovani. Non esistono più come fascia generazionale, come passaggio temporale, ma li ha trasformati in un categoria a parte, indifferente all’età stessa.
I giovani esistono come esistono i precari, gli statali, gli sportivi, gli artigiani, le veline.
I giovani tout court, anagraficamente, sono pochi e sbagliano a prescindere. Se non li vedi è perché: Sono senza ideali, non credono in niente, sono storditi, si sballano, sentono musica di merda, Sferaebbasta, pensano solo ai soldi, instagram.
Se li vedi partecipi nemmeno va bene: Occupano le scuole per farsi le canne, sono figli di papà, fanno le manifestazioni senza sapere nemmeno perché, andassero a lavorare.
Se poi accade qualche fatto di cronaca, come ad esempio il brutale omicidio dei Willy a Colleferro la scorsa estate, apriti cielo. I giovani mostri della porta accanto tornano protagonisti delle cronache. Si torna a parlare delle periferie, quei territori mitologici che appaiono solo nelle tavole rotonde della politica, ma che pare nessuno conosca veramente.
Quei territori in cui continua a rafforzarsi l’ondata populista, quel fenomeno socio-politico irrompente che, come ha scritto il francese Christophe Guilluy, mostra sempre la stessa geografia (le periferie urbane e rurali) e la stessa sociologia (le categorie umili che rappresentano la maggioranza della classe media).
E non stiamo parlando di un margine sociale, qualcosa di fisiologico, ma di una potenziale maggioranza. Tutto ciò è il risultato di una tenaglia tra i processi di gentrificazione e di ghettizzazione; di quella area grigia in mezzo. Di quelle classi che per la ricchezza possono essere distinte in povere, modeste e medie, per l’identità in italiani e immigrate.
Eppure, finito il caso, si spengono i riflettori, ed ecco torna il buio. I giovani tornano ad essere i giovani e basta. E con loro ciao ciao alle periferie, la gentrificazione e tutta la sociologia. Il futuro è un optional tra tante cose.
C’è solo un eterno presente di grandi vecchi che si sentono eternamente giovani e rimpiangono un’indefinita età dell’oro in cui noi eravamo migliori.
Forse ci sarà stata un epoca di maggior partecipazione, di civiltà. Ma se i figli di quest’era favolistica passata, oggi percepiscono l’altro da loro come un nemico, un estraneo, qualcosa di avulso, forse è proprio perché, in quell’età dell’oro, chi oggi punta il dito se ne restava indifferente o dalla parte sbagliata.
Cartoline da Salò: un anno marchiato dalle stimmate della pandemia
Leggi anche
- I furbetti del reddito di cittadinanza e i veri criminali dell’imprenditoria
- Quando Jung incontra Mandrake: psichizzazione del whisky maschio senza fischio
- G20, l’inutile e boriosa passerella dei potenti
- Draghi l’ubiquo: Presidente del Consiglio e della Repubblica contemporaneamente!
- Cesso, Chì chì chì cò cò cò e altri capolavori di Pippo Franco
- Teorema pasoliniano: l’uomo più solo del ventesimo secolo
- La sconfitta di Michetti è una grossa perdita per la satira
- Cartoline da Salò: il nuovo libro di Alexandro Sabetti