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A Roccaraso, lo scontro sociale emerge: i ricchi respingono l’invasione popolare, segno di una società divisa. La gated community e il ghetto si specchiano in un individualismo arrogante, dove lo spazio è dominio e il dialogo impossibile.
Su Roccaraso
La questione Roccaraso coinvolge tutta Napoli, ma ha poco a che fare con Napoli. La sua intra-napoletanità è sovrapponibile a un’ipotetica intra-romanità, londinesità, newyorkesità.
Il problema emerso nell’invasione turistica di massa del borgo appenninico riguarda l’occupazione degli spazi e, soprattutto chi ha il diritto di occuparli.
Da tempo i ricchi non amano calpestare lo stesso asfalto o lo stesso acciottolato dei poveri; da quando l’idea di essere umano si ispira alla managerialità dell’esistenza e alla correttezza delle scelte compiute in vita; da quando, quindi, questa smaccata filastrocca sulla meritocrazia ha finito per celebrare chi tende ad accaparrarsi tutto il cocuzzaro, le classi abbienti si sono ritirate nei loro fortini territoriali, nei nuovi castelli post-moderni, circondati da telecamere di precisione, sicurezza privata e alimentari esotici.
A Roccaraso sono stati i ricchi napoletani a rivoltarsi per l’invasione della loro plebe. Oggi chi guadagna cinquecento volte in più rispetto a uno stipendio medio non sente la necessità di alcun confronto con il volgo.
Il suo benessere non dipende da alcuna collaborazione con il lavoratore, le sue stock options fluttuano libere nell’atmosfera simpatetica dei mercati. Non si scorge alcun substrato comune tra le classi; quello che un tempo si ritrovava in un passato contadino nelle famiglie dai censi squilibrati.
D’altro canto il modello manageriale ha sdoganato qualsiasi pratica commerciale capace di portare al successo o alla visibilità. Scompaiono la parsimonia borghese, il pudore proletario e popolare; il senso del ridanciano, dello sguaiato diventano la cifra del nuovo buongusto.
Le classi popolari si adeguano alla cultura dominante, ne seguono il percorso logico, ammirano le scorciatoie che conducono al prestigio. Diventano influencer.
Anche loro barbarizzano lo spazio, lo cavalcano indomitamente, lo trattano a uso e consumo dell’ammirazione dei followers, lo annientano con le grida imposte dal proprio vocabolario.
Sia chi vive nelle gated community che chi sopravvive nei ghetti, non ha alcuna considerazione dell’altro. Per i primi l’altro è un maggiordomo o un ammiratore discreto della propria tracotante eleganza, per i secondi l’altro è uno strumento per glorificare il sogno alla popolarità.
Il tratto comune di questo classismo individualista è l’incomunicabilità. Tutti orgogliosamente rivendicano le proprie ragioni o l’orgoglio delle proprie origini, tutti con il proprio linguaggio che non spiega e non illumina, ma sentenzia diversi stadi di arroganza.
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