Alla sinistra che ha abbandonato i suoi paradigmi costitutivi è rimasto il moralismo: buoni contro cattivi, bianco contro nero. La guerra ne è l’esaltazione assoluta.
La questione morale della guerra
Purtroppo, la guerra è un toccasana per una sinistra italiana in disarmo filosofico e politico. Le permette di trascinarsi nel moralismo che la caratterizza da trent’anni, da quando ha deciso per statuto di non essere più un soggetto politico-filosofico, cioè un intellettuale collettivo che interpreta il mondo trasformandolo e lo trasforma interpretandolo.
Si trattava di quel soggetto che attraversava il reale sapendo che non esiste il bianco e il nero bensì una complessità in cui bianco e nero coesistono in quanto costitutivi sia dell’ontologia umana sia delle storie di uomini e donne nel mondo.
Il pensiero europeo è stato grande finché ha continuato ad arrovellarsi sulla compenetrazione tra Uno e molteplice nelle varie articolazioni che vanno dall’esistenzialismo all’hegelo-marxismo.
Finito quel rovello, soppiantato dalla produzione postmoderna di godimento consumistico sempre più intenso in grado di dare l’illusione dell’Uno compatto senza scarti e senza eccedenze, è finita anche la cultura del movimento operaio.
A quel punto, è rimasto il moralismo: buoni contro cattivi, bianco contro nero.
Ciò che mi rende molto pessimista è che fino a qualche decennio fa potevi discutere di questo, della crisi che stava arrivando, nell’università come nei grandi partiti di massa.
Ora gli spazi sono tutti chiusi sia nell’università, per la quale esiste solo l’Uno da mantenere fluido ed emendato dai “cattivi” grazie al politicamente corretto, sia nei partiti per il semplice motivo che partiti non ne esistono più.
Esiste l’Uno, non serve né studiare, né fare politica. Basta cliccare dal divano contro i cattivi e sentire che l’Uno è salvo.
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